Riceviamo e pubblichiamo l’intervento del Movimento Internazionale della Riconciliazione: “non siamo in guerra contro un nemico che ha interesse a vincere, ma in cura per una malattia che si è aggiunta a tanti altri mali dai quali curarci, noi e tutto il pianeta“
Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (M.I.R.) – branca italiana della International Fellowship of Reconciliation (I.F.O.R.), da quasi 70 anni afferma e testimonia la nonviolenza come stile di vita, come mezzo di riconciliazione nella verità e di conversione personale, ma anche come mezzo di trasformazione sociale, politica ed economica. Le campagne del M.I.R. affermano i valori della pace e contrastano la logica perversa della guerra, nella consapevolezza che i conflitti – a livello nazionale e internazionale – sono accresciuti dall’ingiustizia, dalle discriminazioni e dal depauperamento dell’ambiente naturale.
La grave emergenza socio-sanitaria generata dalla pandemia di Covid-19 sta drammaticamente mettendo in luce gli effetti di un sistema mondiale nefasto, che, per il consumismo sfrenato, la ricerca avida di profitto, il lusso di pochi, la corsa agli armamenti, l’economia capitalistica, non solo distrugge la natura del pianeta e lascia nella miseria miliardi di persone, ma trascura e minaccia persino la salute dell’intera umanità. Infatti questa pandemia è anche conseguenza dello sconvolgimento degli equilibri ecologici. I mali invisibili che si aggirano tra di noi non sono solo i virus e per curarli non servono le armi e gli eserciti. Lo ripetiamo con convinzione: non si tratta di fare guerra ma di prendersi cura degli esseri umani e del pianeta Terra.
La crisi sanitaria sta anche offrendo testimonianze edificanti, di abnegazione e di servizio alla collettività, in particolare da parte del personale sanitario ed esempi di solidarietà e cooperazione internazionale, offerti dagli stati lontani, come Cina, Cuba, Russia, che hanno inviato in Italia medici e materiale sanitario. Sono segni importanti di una riscoperta di valori sui quali avviare la vita sociale dopo la pandemia: per salvare vite umane, assicurare una vita serena a tutti, in habitat naturali puliti, nel rispetto dei diritti fondamentali, nell’attenzione per i più vulnerabili della società, nell’aiuto agli indigenti, nell’accoglienza degli immigrati, nella vicinanza agli anziani, a chi è solo, ai detenuti, alle donne vittime della violenza.
Risulta stridente la narrazione militarista che viene fatta, con l’utilizzo di metafore di sapore bellico per parlare di tale emergenza sanitaria: non siamo in guerra contro un nemico che ha interesse a vincere, ma in cura per una malattia che si è aggiunta a tanti altri mali dai quali curarci, noi e tutto il pianeta… E’ una situazione ben diversa dalle guerre, che sono preparate, pianificate e volute dagli uomini che si combattono e uccidono tra loro. La guerra è una tragica scelta degli umani, la malattia no. La cura si fa con amore, compassione, solidarietà, servizio, senza discriminazione e senza odio per alcuno. L’uso del linguaggio militarista porterebbe oltretutto ad accusare di disfattismo chi dissente e critica i provvedimenti decisi dai governanti. Occorre invece anche in questa fase salvaguardare i diritti e le libertà sancite dalla Costituzione, in particolare quella di espressione. Sono preoccupanti le pratiche di controllo sociale, come l’utilizzo dei droni, app di tracciamento e 5G per individuare la movimentazione dei singoli individui; pratiche a prima vista necessarie e accettate dalla gente, ma che, se usate impropriamente, sarebbero una minaccia per i diritti degli individui e per la democrazia. Anche per quanto riguarda il confinamento in casa, c’è da augurarsi che non si assumano lo smart working e la didattica scolastica a distanza come forme permanenti di lavoro e di studio, perché porterebbero all’atomizzazione dei lavoratori e degli studenti, quindi al calo della partecipazione sociale.
Oltre al linguaggio bellico, si nota un processo di militarizzazione del territorio, con l’impiego di risorse militari (strutture e personale), che, se temporaneamente sono necessarie, è perché non si è provveduto a organizzare un adeguato servizio sanitario e strutture civili, come la protezione civile capaci di affrontare situazioni così gravi. Abbiamo i cacciabombardieri capaci di operazioni distruttive strabilianti, con i piloti che hanno caschi che costano mezzo milione l’uno, ma mancano dispositivi per la respirazione assistita dei malati. Eppure sono state incredibilmente considerate “attività essenziali” quelle delle fabbriche di armi anche in questa fase, di lavoro rischioso per la salute dei lavoratori, ed il governo ha permesso che restassero in funzione, mentre sono state chiuse tutte le altre industrie. Ma la gente si sta finalmente rendendo conto della iniquità del sistema; in particolare delle spaventose somme di denaro impiegate per preparare le guerre, per la produzione e l’acquisto di armamenti, per la ricerca nel settore bellico, per le esercitazioni militari, mentre mancano risorse per servizi socio-assistenziali e sanitari, per la tutela del territorio dalle calamità e per investimenti in campo ecologico (Green New Deal).
L’identificazione del legittimo concetto di ‘difesa’ col complesso militare-industriale ne ha falsato il senso profondo di tutela della sicurezza dei cittadini. Anziché riconvertire le fabbriche di morte in investimenti nel campo medico, socio-assistenziale e formativo, si registra un’ulteriore militarizzazione delle istituzioni, perfino di quelle educative come la scuola, dando alle forze armate compiti e ruoli che devono viceversa restare di competenza di una protezione civile sempre più decentrata e radicata nel territorio. In questi anni, tagliando sulla sanità pubblica e privatizzandone i servizi, sono stati chiusi molti presidi ospedalieri, che ora gli ospedali da campo non possono sostituire, ma che rafforzano l’immagine di una protezione civile emergenziale, verticistica e militarizzata.
Un modello alternativo di Difesa civile, popolare e nonviolenta e un modello innovativo di protezione civile, con l’impiego di giovani in servizio civile e la partecipazione attiva delle comunità locali, è quello che il M.I.R. ha sempre sostenuto, fino ad arrivare (con la Campagna “Un’altra Difesa è possibile” condotta con le Reti del mondo della Pace, del disarmo, del Servizio Civile) alla presentazione in Parlamento della proposta di Legge di iniziativa popolare per l’istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta.
La crisi sanitaria sta provocando anche una grave crisi economico-finanziaria e forse di ordine pubblico in Italia e nel mondo. Occorrerà necessariamente trasferire ricchezze private allo Stato, per far fronte ai debiti e alle spese in questa fase recessiva. Chiediamo subito al Governo e al Parlamento di non fare pagare la crisi ai settori poveri della società, ma in nome della giustizia distributiva, faccia pagare di più a chi ha di più.
Dovremmo tutti prendere coscienza della necessità di cambiare strada, cambiare scala di valori, cambiare stili di vita, cambiare obiettivi da realizzare, cambiare modi di intendere la sicurezza e la difesa, e perciò cambiare la politica e l’economia nazionale e internazionale. Dopo le guerre mondiali gli stati hanno sentito il bisogno di creare nuovi organismi come la Società delle Nazioni, l’ONU, l’Unione Europea, con la finalità di evitare altre guerre. Così dopo questa crisi sanitaria auspichiamo che:
- si attuino nuove politiche, all’insegna della collaborazione, della fiducia, della nonviolenza, della pace;
- ci sia una reale riforma dell’ONU in senso democratico, che operi per evitare le guerre;
- si abbandoni la logica competitiva e imperialista tra stati e si prediliga invece la collaborazione internazionale;
- si realizzi il disarmo, a cominciare da quello atomico come deliberato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 7 luglio 2017;
- ci sia una riduzione delle spese militari e gran parte dei miliardi stanziati per le forze armate siano destinati a scopi civili; si cominci col disdire l’acquisto di altri costosissimi caccia F35 e dei quattro nuovi sottomarini U-212A, che costano oltre 2 miliardi.
L’Italia, che sta pagando pesantemente per questa pandemia – e che certamente non vorrà mai più rivivere una simile tragedia – sia da esempio e stimolo per le altre nazioni. Purtroppo nei giorni scorsi hanno ottenuto poco ascolto gli appelli del Segretario Generale dell’ONU e di Papa Francesco, per un cessate il fuoco in tutte le aree di guerra.
Non perdiamo la speranza. Invitiamo tutti ad essere operatori di pace, fautori di una società più equa e solidale. Invitiamo a unirsi in questo mese al Global Days of Action on Military Spending (GDAMS) – Le Giornate Globali di Azione sulle Spese Militari per il 2020, per chiedere ai Governi di tutto il mondo di spostare fondi dalle strutture militari alla salute, dalla guerra alla Pace.