Se non ci salvano gli stranieri siamo fregati

A scuola la presenza di studenti stranieri non genera un caos di lingue, ma uno scambio continuo e arricchente

(foto GM D’Alberto, 2014)

Io penso che ci debba essere un tetto per gli stranieri nelle classi italiane, direi un 20%.  Altrimenti è un caos di lingue in quella classe, penso anche all’insegnante, invece così può essere stimolante, ma quando gli italiani sono il 20% dei bambini in classe, come fa una maestra a spiegare? (Matteo Salvini)

Le maestre cui Salvini si riferisce (dimostrando di ignorare tra l’altro l’esistenza di maestri) sono più avanti di lui e del ministro Valditara, il quale lo segue a ruota sostenendo il collega con un carpiato poco credibile: proprio ai fini di una maggiore integrazione gli studenti stranieri dovrebbero essere minoranza nelle classi.
Invece le maestre e i maestri e i professori sanno che la realtà è un’altra cosa, e per svariati motivi.

Gli studenti non italiani – gli stranieri figli di stranieri, quelli che però sono nati in Italia e quelli che hanno un solo genitore non italiano – sono così tanti e così italianizzati (nel bene e talora anche nel male) che chi li percepisce diversi è perché ha molto tempo da perdere.

 

Caos di lingue?

Salvini e Valditara, che peraltro a giudicare da certe pessime circolari sono tutt’altro che fini conoscitori dell’italico idioma [vedi lo sgrammaticato intervento su X, già analizzato e sbeffeggiato in un trafiletto sul Fatto del 30/03 a cura di Ranieri] non sanno che sono i giovani italiani a parlare malissimo la lingua madre (ehi, raga, bro, come butta? Ieri ho traiardato forte, ora ti whatsappo un video, oh, ma mi hai frizzato, pusha qua, non mi flammare, sei  stunnato?…), di solito assai peggio dei loro coetanei romeni, o moldavi, o brasiliani, o russi, che si impegnano a lungo, con fatica e spesso umiltà per imparare una lingua sconosciuta e complicata.
Il caos di lingue può esserci all’inizio dell’anno, prima che gli istituti siano pronti con i corsi per stranieri, prima che i ragazzi comincino a vincere la naturale ritrosia nel buttarsi e provare a comunicare, prima che capiscano che nessuno lì dentro li giudica in quanto stranieri, prima che l’insegnante cominci a valorizzare la loro conoscenza per illustrare qualcosa del mondo agli altri studenti.
Al di là del proprio naso, che è sempre un ottimo scambio.
Quindi no, caos di lingue no: dovrebbero assistere, i due ministri e accoliti, alla meraviglia degli studenti che, insegnando ai loro compagni una parola, un modo di dire, una regola grammaticale, la imparano meglio – o finalmente – anch’essi (si chiama peer to peer, casomai lor signori lo ignorassero), in uno scambio continuo e arricchente.
Problemi? Di certo, soprattutto nelle scuole piccole o povere, laddove mancano le risorse perché tra istruzione e armamenti la prima può sempre attendere. Dopo, però, sono entusiasmanti successi.

Come fa una maestra a spiegare?

Chiamasi pregiudizio un giudizio che arriva prima, prima della conoscenza.
Quando S. pensa alla scuola primaria ricorda la sua, che forse non era granché anche per gli standard di allora: maestrina con tailleurino chiaro, ditino alzato, penna rossa e libro sotto gli occhiali.
Ripetete con me: La nebbia agli irti colli…, bravo Giovannino, vieni che ti do la caramella. Ecco: da allora qualcosa è cambiato: la maestra, o il maestro, lavora con gli allievi, ha una professionalità che le/gli consente di insegnare in modo attivo (grazie a molto studio e anche a qualche strumento informatico come lavagna interattiva o maxischermo), gli studenti parlano, intervengono, si esprimono, apprendono facendo delle cose, non solo ascoltando una voce, poiché imparare – questo l’abbiamo capito quasi tutti – non è ripetere: quello lo fanno già le scimmiette, che sono tanto, tanto carine.

Solo gli stranieri possono salvare l’Italia

Il povero S. è poi presto sbugiardato da istituti scolastici e dagli industriali del leghista Nordest, ben più concreti e pragmatici: che le industrie abbiano bisogno di manodopera da sottopagare è noto; meno attesa è la reazione delle scuole.

Il fatto è che, banalmente, la popolazione va diminuendo, e anche in quella scolastica si avverte una flessione destinata a crescere ogni anno: già a settembre 2024 gli alunni delle classi italiane saranno 127.000 in meno di quest’anno, ma secondo le proiezioni ISTAT, se non si invertirà la rotta nel 2050 ci saranno 5 milioni di italiani in meno (meno 2 milioni di giovani), come se in 25 anni perdessimo tutti gli abitanti del Veneto o della Sicilia.

E a preoccupare tutti è soprattutto l’invecchiamento della popolazione, soltanto il 52% della quale sarebbe in età da lavoro, con il 16% sotto i 20 anni e il 32% pensionati.
Le nascite passerebbero dalle attuali 399.000 annue a 298.000, altro che le 500.000 necessarie per un corretto equilibrio demografico! Come si evince da un elementare calcolo, siamo fregati.
A meno che ci salvino gli stranieri.

sire