Prevista per il 14 novembre al tribunale di Ivrea l’udienza del processo per un tweet che offende Giorgia Meloni
Il vittimismo per raccogliere consensi è vecchio come il mondo, non è una trovata di Meloni (né solo del suo governo e del suo partito politico), ma certo lei lo pratica ed esibisce come forse mai nessuno prima. Anche da presidente del consiglio dei ministri (persino nel discorso di investitura si è autodefinita una “underdog”) non ha smesso di costruirsi “nemici” autori di attacchi e cattiverie nei confronti suoi, del suo governo e dei suoi familiari. Familiari peraltro coinvolti nella vita pubblica: la sorella nominata segretaria del partito FdI, il cognato ministro, la figlia esibita sui rotocalchi di gossip, il convivente (da qualche giorno ex) chiamato a condurre un programma televisivo di “approfondimento politico” su rete 4 (ora, dopo la rottura annunciata via social, ritirato in redazione).
Tutto si può dire di Giorgia Meloni tranne che abbia cercato e ricerchi la riservatezza sulla sua vita privata, arrivando a pubblicizzare – e quindi politicizzare – la propria vicenda familiare, senza però perdere l’occasione di indossare, anche in questo caso, i panni della vittima.
E da vittima si presenta anche al tribunale di Ivrea perché offesa da una battuta pubblicata su twitter quattro anni fa da Franco Cappelletti (noto a Ivrea anche semplicemente come Kappa) autore, ai tempi del cartaceo di questo giornale, di uno spazio, “Le Kappatelle”, di umorismo, satira e ironia nella quale comparivano le sue freddure. Battute e lettura ironica degli avvenimenti quotidiani che trovavano spazio spesso anche sul “Vernacoliere” e altre pubblicazioni del genere. Attività che Kappa ha continuato sui social media e più recentemente anche con una rubrica sul giornale locale La Voce.
Sempre azzeccate, pungenti e divertenti le battute di Kappa? Ovviamente no, come accade a chiunque si cimenti nella satira, anche alle penne e più note e conclamate.
E certamente poco azzeccato e per nulla divertente, seppur pungente e irriverente (come deve essere la satira, altrimenti non è satira ma arrufianamento), il tweet di “Franco Cappelletti # Antifascista” di fine luglio 2019: “Da adulta, la figlia della #Meloni rimpiangerà di non essere stata a #Bibbiano”.
Dall’account “Giorgia Meloni” il commento: “Ecco dove siamo arrivati. Che schifo”.
A seguire, nei giorni successivi, lo sdegno per il tweet di Kappa e la vicinanza alla Meloni del Garante per l’Infanzia del Lazio (peraltro membro della commissione d’inchiesta su Bibbiano, vicenda – poi sgonfiatasi con l’assoluzione del principale accusato – all’epoca utilizzata da Meloni, Salvini e Di Maio per screditare il PD in Emilia in vista delle elezioni regionali), del Giornale di Sallusti e di politici delle destre.
Una levata di scudi a livello nazionale palesemente sproporzionata per una battuta (infelice) di una persona i cui tweet (non ce ne voglia Kappa) non ricevono una tanto estesa lettura e attenzione.
E, ancora più sproporzionata, la querela (e la costituzione quale parte civile) di Giorgia Meloni nei confronti di Franco Cappelletti. Una sproporzione evidente di potere (e risorse economiche per affrontare le aule giudiziarie) tra un capo di governo e un lavoratore che non è un personaggio pubblico né ricopre alcun ruolo istituzionale.
Così pure insolita appare la solerzia della magistratura eporediese che, nonostante la nota e conclamata carenza di organico, il poco spazio per gli uffici e il sovraccarico di lavoro (determinato anche dalle recenti inchieste sulla strage di Brandizzo e sull’incidente delle frecce tricolori a Caselle), in questo caso ha addirittura anticipato sia l’udienza predibattimentale (che si è svolta il 9 ottobre), sia il dibattimento che è previsto per il prossimo 14 novembre.
Insomma, una vicenda alimentata dalla consuetudine all’uso del vittimismo, che in altri tempi sarebbe stata incredibile e oggi appare invece assolutamente coerente con i preoccupanti livelli di intolleranza e di conformismo crescenti.
Rispetto al tweet incriminato, c’è poi ancora una domanda: cosa era successo in quei giorni del 2019 perché il mite Franco Cappelletti si lasciasse andare a una così infelice battuta pur di offendere Meloni?
Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 il vice brigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega era stato accoltellato e ucciso nel centro di Roma. Come è noto nel giro di poche ore furono individuati e arrestati due giovani statunitensi di buone famiglie (Finnegan Lee Elder e Chistian Natale Hjorth) che confessarono (per inciso la Cassazione nei mesi scorsi ha annullato il processo d’appello che li aveva condannati a 24 e 22 anni).
Ma i sempre pronti a seminare odio e ferocia contro i migranti (e i diversi e gli ultimi), già alle prime ore del mattino avevano indicato due (in alcuni casi tre) “nordafricani” o “magrebini” quali assassini del carabiniere. A distinguersi in questa “gara” continua di disinformazione e odio, i soliti: Salvini, Meloni, oltre al giornale Libero, il sito infodifesa.it e compagnia odiante.
Con Giorgia Meloni nettamente in testa con questo tweet: «Giorgia Meloni, 26 luglio 2019
La scorsa notte un carabiniere di 35 anni è morto ammazzato da 2 animali, probabilmente magrebini, ancora latitanti, 8 coltellate di cui una dritta al cuore, a pochi passi dal Vaticano. Provo tanta rabbia e profonda tristezza, l’Italia non può più essere il punto di approdo di queste bestie. Vicinanza alla famiglia di questo servitore dello Stato e all’Arma dei Carabinieri, spero che questi animali vengano presi subito e che possano marcire in galera.»
Meloni che, quando poi la vera identità degli assassini sarà nota e pubblica, invece di chiedere scusa, si lancerà in una nuova invettiva (usando, come di consueto, il vittimismo di attacco): «Da due giorni i santoni del buonismo italiano e internazionale si sono scatenati contro di me con ogni genere possibile di insulto e improperio. Secondo questi statisti, sublimi giornalisti e arguti osservatori politici della sinistra al caviale (e porchetta), sarei colpevole di aver sfruttato il barbaro omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega come pretesto per attaccare i migranti, salvo poi risentirmi perché l’assassino è americano e non magrebino. A questi miserabili dico che non prendo lezioni di correttezza da gente come loro, che vive solo di menzogne e mistificazioni (…)».
Non fa scappare la pazienza e la ragione tanta faccia tosta?
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