L’Anpi Valle Elvo e Serra risponde alla lettera aperta della Comunità ebraica di Ivrea sul 25 aprile pubblicata sul nostro giornale.
Abbiamo avuto notizia della lettera aperta che la comunità ebraica di Ivrea ha indirizzato ai principali giornali eporediesi, ai sindaci di Ivrea e di Donato e all’Anpi di Ivrea con la quale annuncia che gli ebrei eporediesi non parteciperanno a quello che è definito poco rispettosamente il “consueto raduno a Lace”, che snaturerebbe nel suo profondo significato la perpetuazione della memoria della Resistenza in quanto animato “da oratori estremisti, ostili a Israele e all’ebraismo”.
Anzitutto intendiamo qui rimarcare che a Lace, come ogni 25 aprile, viene celebrato l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, in un luogo altamente simbolico come la cascina del comando della 76^ Brigata e della VII Divisione Garibaldi, ora area monumentale e che tale “raduno” è co-organizzato dal Comune di Donato e dalle sezioni di Ivrea e Basso Canavese e Valle Elvo e Serra dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Festa nazionale della Liberazione e non quindi un “raduno” con il senso deteriore che si vuole attribuire a tale termine.
Non veniamo formalmente citati nella lettera aperta e quindi ci sentiamo come una sorta di convitato di pietra, dal quale tuttavia tutti sembrano prendere le distanze; essendo però ufficialmente una sezione dell’A.N.P.I. riteniamo per questo necessaria una risposta, soprattutto per stabilire dei punti fermi che liberino il campo dalle accuse che vengono mosse, a noi e agli oratori che sono stati invitati.
Anzitutto ci sembra estremamente irriguardoso che la Comunità Ebraica distribuisca patenti di legittimità alle iniziative di celebrazione della Liberazione, promuovendone alcune e disapprovandone altre. Soprattutto sulla base di motivazioni francamente discutibili. Così come lo è obbiettivamente la politica del governo di Israele, alla quale la Comunità Ebraica di Ivrea non riesce a muovere neppure un appunto, anzi, mette le mani avanti su possibili critiche che le potrebbero esser mosse. Eppure dovrebbero esser note alla Comunità le critiche che vengono mosse, in questo tragico frangente di sterminio della popolazione di Gaza, dalla parte più illuminata dell’ebraismo. Solo a gennaio di quest’anno è apparso quotidiano L’Avvenire una lettera di intellettuali ebrei che si domandavano come fosse possibile che una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riuscissero a cogliere la drammaticità dell’azione militare che ha già provocato oltre 30.000 morti di cui più di un terzo bambini, e le sue conseguenze per il futuro. Voci critiche in Israele parlano di un paese dilaniato di forti contrasti tra gli stessi abitanti ebrei (ultraortodossi, laici, coloni) senza un’ìdea di progetto comune. E conclude dicendo che aver subito un genocidio come la Shoa “non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti di indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli“.
Stupisce inoltre che “l’ostracismo” nei confronti in particolare di uno degli oratori sia motivato dal suo essere orientato “contro il modello politico sociale a cui noi dobbiamo quasi 80 anni di convivenza nella pace”.
E allora. Se è vero che negli ultimi 35 anni l’Italia è stata impegnata in conflitti senza un mandato dell’Onu, e quindi in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione, è lecito porsi delle domande e chiedersi se si può parlare di “convivenza nella pace”? E’ lecito muovere critiche a un modello politico sociale che quelle guerre provoca?
Ecco, noi abbiamo sempre accolto le critiche, spesso capziose e strumentali, che ci sono state mosse negli anni per le nostre iniziative ma facciamo veramente fatica a accettare lezioni da chi dovrebbe preliminarmente riflettere sulle questioni che li portano a esprimere tali critiche. Anche l’uso del termine “estremista” rivolti ai nostri invitati ci risulta estremamente insopportabile, soprattutto perché frutto di pregiudizi. E’ quando ci si trova a discutere di situazioni estreme con rischi di una guerra mondiale che le critiche possono e devono essere critiche estreme. L’estremismo è un’altra cosa. Il nostro obbiettivo è sempre stata la difesa della Costituzione, contro il suo stravolgimento, contro lo sfacelo sociale determinato dall’adesione acritica al capitalismo, contro la guerra in spregio al ripudio scolpito nella carta stessa.
A Lace negli anni si è costruita, con l’apporto di ognuno, una festa popolare in continua evoluzione, che ha unito le istituzioni che meritoriamente avevano contribuito all’erezione dell’Area Monumentale con le popolazioni biellesi, canavesane e valdostane che avevano vissuto i momenti tragici e irripetibili della lotta di liberazione. E a Lace sono intervenuti in primis i partigiani, intellettuali, storici, amministratori pubblici, gente comune, e ognuno ha offerto il suo contributo di riflessione.
Chiediamo quindi ai nostri critici di svestire i panni vittimistici di cui si sono ammantati e, con puro spirito democratico, di venire a Lace il 25 aprile, di ascoltare i nostri oratori e di intervenire, se ne avranno voglia per esprimere le loro posizioni.
Per noi questo è il 25 aprile, la festa della democrazia ritrovata, in un mondo che cerca invece di reprimerla.
Anpi Valle Elvo e Serra “Pietro Secchia”
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