Dall’inserto di varieventuali “La Fenice” – Il giornale dal carcere.
Anche io passavo davanti alle carceri, in auto, sommerso nei miei pensieri, oppure per commissioni nella irrefrenabilità quotidiana.
Forse passavo, ma non pensavo a niente.
Forse pensavo: è un brutto posto, dove vanno i cattivi, i criminali.
Pensavo “beh, chi è lì dentro se lo merita”.
Non vedevo, non sentivo, forse non volevo capire, non mi interessava.
Non sapevo nulla delle carceri.
Da fuori a dentro.
Inaspettatamente, all’improvviso come un taglio netto: sono diventato io il cattivo, il criminale.
Sono qui dove nessuno ti sente, dove le auto fuori scorrono senza sosta, dove alle persone fuori non interessa, non sanno. Quando si è aperto l’ultimo cancello al mio arrivo, ho visto delle sbarre con dei cumuli di persone aggrappate; come l’ unica via di ingresso, o anche l’unica via di uscita.
Erano i detenuti che nella loro quotidianità chiedevano, comunicavano, si lamentavano, discutevano accesamente.
In realtà in una qualsiasi forma, si poteva tradurre la loro esasperazione.
Da fuori a dentro; si poteva sentire il lamento del più silenzioso, si poteva vedere la corazza del più impassibile, si poteva percepire come quelle cancellate avessero chiuso non solo le persone, ma le loro menti.
Anche le più forti si erano adeguate ad una restrizione, dove le piccole cose, sono molto grandi, dentro, oltre quel cancello.
Dove un niente diventa tutto, dove le menti cercano spazio, ai limiti del cancello.
Valicai quel cancello a pugni chiusi, rispettando e volendolo essere.
Promisi a me stesso di guardare fuori dalla grata della cella, il più possibile, il più lontano possibile.
Avevo capito che sarei diventato un detenuto, quando la mia mente si fosse fermata dietro quel cancello, quando i miei occhi non avessero più saputo guardare fuori da quella grata.
Da fuori a dentro, dove nessuno ti sente; diventa una questione di tempo.
Più il tempo passa, più si avvicina la libertà, più il tempo ha trattenuto la tua libertà meno hai passato il tempo a guardare fuori dalla grata.
L’ho visto negli occhi di chi non guarda mai lontano, fuori dalla grata, di chi non alza mai gli occhi al cielo, oltre queste alte mura; da quegli sguardi persi, spaventati, talvolta rassegnati, adeguati.
Ho visto che nessuno da dentro, oltre quel cancello, esce mai davvero libero.
Robert M.
Per contattare la Redazione La Fenice o commentare l’articolo scrivi a: [email protected]