Da ieri a oggi, dal centro alla periferia pratiche laboratoriali nella scuola e fuori nel programma della giornata di incontri di sabato 25 gennaio a Viverone.
“Imparare facendo” è il titolo di una insolita giornata di riflessioni e condivisioni (qui il programma dettagliato) di esperienze “sulla scuola, e la società, che vogliamo. Una scuola – scrivono Grazia ed Ettore Macchieraldo che organizzano l’iniziativa – non separata dalla realtà, (…) convinti che per costruire il futuro si debba tenere memoria del passato, specie con questa generazione di giovani”.
L’iniziativa si realizza grazie alla collaborazione di “Semi di Serra”, “Scuola senza pareti” e “Movimento Lento” con il patrocinio dei Comuni di Viverone e Roppolo. Un “convegno” insolito del quale parliamo con Maketto (Ettore Macchieraldo, peraltro collaboratore di questo giornale).
Cominciamo dal titolo “Imparare facendo”: si tratta di un metodo pedagogico? E, se sì, quali sono le sue particolarità?
C’è una lunga scia di metodi pedagogici che partono dalla pratica, dai laboratori. Ivrea questo lo sa bene, essendo l’Olivetti una di queste esperienze, dove si fece formazione professionale in un contesto che puntò all’elevazione culturale di tutti, soprattutto di operai e contadini. I miei genitori si conobbero in una società di mutuo soccorso, la Società Umanitaria a Milano negli anni 60. Una realtà che tenne insieme le materie pratiche, la cultura materiale e tecnica con quelle umanistiche.
In alcune occasioni ti è capitato di citare Marco Rossi Doria e due sfide pedagogiche da lui poste: la riparazione del mondo e la cessione di potere ai giovani. Questa iniziativa del 25 gennaio in che modo le affronta?
Diciamo che questa iniziativa si concentra sulla riparazione del mondo. Essere capaci di autocostruire vuol dire anche essere capaci di riparare. Senza contare che ci saranno due interventi proprio centrati su questo. Il primo di Giuseppe Paschetto sull’insegnamento delle materie scientifiche nell’era dei cambiamenti climatici. Il secondo di Norberto Patrignani che parlerà di Tecnologia conviviale
“Dai Pierini ai Gretini” si legge nella copertina del programma della giornata: il riferimento è a Greta Thunberg e al movimento “Fridays for Future”?
I Pierini erano i figli di papà che andavano bene a scuola della Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana. I Gretini è come sono appellati i giovani ecologisti dalla stampa prezzolata. È una linea che collega due situazioni temporalmente lontane, in cui rimane la costante di una scuola ancora prevalentemente impostata come volle il ministro Gentile nel 1923.
Nel programma del pomeriggio si parla anche di tecnologia digitale (con interventi su “tecnologia conviviale” ed “ecologia digitale”), frequentemente additata come responsabile del “rimbambimento” dei giovani. Immagino che non sarà questo il taglio degli interventi, vero?
Alziamo un po’ l’asticella. Parleremo di una proposta degli anni ’70 che, secondo Norberto Patrignani, è da ripescare, la tecnologia conviviale di Ivan Illich. È una prospettiva di liberazione dal dominio delle macchine per tutti, non solo per i Gretini.
In apertura dei lavori del mattino e del pomeriggio verranno proposti due filmati, cosa raccontano?
Sono due filmati che raccontano i laboratori di autocostruzione che sto facendo con i ragazzi. Il primo alla Scuola Media Marconi di Biella ed è realizzato da Grazia Licari. Il secondo racconta delle Ri Creazioni alla Scuola Senza Pareti alla Trappa di Sordevolo, realizzato da Maurizio Pellegrini di Storie di Piazza.
Una domanda personale: ci racconti perché un’iniziativa di questo tipo è “in memoria” dei vostri genitori?
Ti rendi conto di alcune cose solo guardandole da lontano. Per Grazia e per me è ora evidente che il vero lascito dei nostri genitori è proprio questa capacità di tenere insieme cultura materiale, tecnica e umanistica. Ed è una capacità utile per fuoriuscire dal vicolo cieco in cui abbiamo infilato la generazione Z.
a cura di ƒz