Mentre a Ivrea sta nascendo l’ennesimo impianto di grande distribuzione, e annessi, la multinazionale francese della GdO Carrefour, annuncia cassa integrazione per 850 dipendenti, 126 nella vicina Burolo.
Il 16 gennaio Carrefour Italia ha comunicato ai sindacati l’avvio della procedura di cassa integrazione straordinaria per 12 mesi per 850 dipendenti di sei punti vendita a Torino e provincia (su un totale 10 in provincia di Torino e 43 in tutto il Piemonte): Torino Montecucco (264) Collegno (161 addetti) Grugliasco (269), Moncalieri Rossi (123), Nichelino (206), Burolo (126). Per la percentuale di riduzione di orario era girato il dato del 20%, ma un repentino comunicato dell’azienda ha specificato che la cassa avrà “un ammontare ristretto di ore lavoro complessive in ciascun punto vendita, pari al 4% del totale ore lavorate dei dipendenti diretti”. Una piccola riduzione di orario quindi, è lecito chiedersi se c’era proprio bisogno di cassa integrazione.
Carrefour aveva già utilizzato cassa integrazione nel 2015 e poi nel 2020 ha usufruito della cassa in deroga prevista per l’emergenza Covid per 4.472 dipendenti, soprattutto del Piemonte (1.762) e della Lombardia (1.449). Nel 2021 la multinazionale della Gdo, continuando a lamentare la crisi dei consumi, aveva annunciato 769 esuberi e la chiusura di 106 punti vendita.
In questo ultimo annuncio di cassa in Piemonte l’azienda afferma che “La richiesta si rende necessaria dalla crescente complessità dello scenario economico complessivo, unitamente all’esigenza di semplificare e ottimizzare l’organizzazione delle attività in punto vendita del formato Iper al fine di assicurarne la sostenibilità economica e la continuità operativa.” E aggiunge “di voler continuare a consolidare la propria presenza in Piemonte e di essere disponibile ad un confronto con tutte le istituzioni competenti interessate. Tutto bene, quindi? Per nulla.
Lo scenario è presto raccontato: le amministrazioni locali di fronte alle cospicue entrate nelle casse comunali che portano questi insediamenti, concedono licenze per costruire senza valutazioni commerciali né ambientali (addio campi, avanti cemento). Accade così che in via dei Capannoni (corso Vercelli a seguire fino a Burolo) vi sia una carrellata infinita e senza senso di supermercati (dai discount agli iper). L’ultimo insediamento di 38mila metri quadrati vedrà nascere un ipermercato Coop (Novacoop 2750mq più Fior Fiore Coop appena più piccolo) e un paio di ristoranti di catene del “cibo veloce” e un benzinaio. Con questo affollamento di supermercati e una popolazione in continua diminuzione, con carrelli sempre più leggeri perché pesanti per il borsellino, è chiaro che vi è un surplus di offerta che non può dare sicurezza ai lavoratori e alle lavoratrici del settore.
Come si lavora nella Gdo
Parliamo spesso di call center su questo giornale, perché nella via industriale che è via Jervis che fu della grande Olivetti è il settore che occupa più persone. Parliamo delle loro condizioni di lavoro con tratti alienanti, di precarietà. Ebbene nella Gdo non è tanto diverso. Alcuni punti critici sono uguali, primi fra tutti la precarietà e la richiesta sempre maggiore di flessibilità. Una indagine della Regione Lombardia di qualche anno fra lavoratori della grande distribuzione aveva portato alla luce i principali problemi del settore: l’alto carico emotivo dato dalla continua interazione con i clienti; i ritmi di lavoro elevati, soprattutto in alcuni giorni della settimana e in alcuni periodi dell’anno; le pause di lavoro brevi; il lavoro su turni (incluso serale, fine settimana, festività); il turno di lavoro giornaliero spezzato; i cambiamenti improvvisi di orario e turni lavorativi. E sono questi gli stessi problemi denunciati dalle lavoratrici e dai lavoratori dei supermercati del nostro territorio. Per non parlare del tema della sicurezza che nell’immaginario collettivo si pensa riguardi solo le aziende meccaniche o i cantieri edili; invece, il tema della sicurezza e della salute dei posti di lavoro riguarda molto anche i supermercati: si pensi alle attività di scarico delle casse di prodotti, alla loro spostamento nel magazzino con l’uso di muletti, alla collocazione negli scaffali, manovrando carrelli, usando scale, ecc. E pensiamo anche alla scarsa ergonomia dei punti cassa. La prossima volta che entriamo in un supermercato chiediamoci se le cassiere e i cassieri sono in piedi per scelta oppure se ne sono costretti perché il titolare o l’insegna risparmia sulle sedie oppure pensa che a star seduti si produce di meno.
Ne sentivamo il bisogno?
Tornando al nuovo insediamento in corso Vercelli a Ivrea, ripropongo la domanda che si fa Diego Marra nella sua rubrica Contronatura: Ne sentivamo il bisogno? e ne pongo una nuova che può sembrar retorica, “Possiamo finalmente pensare ad un valore etico nelle scelte della pubblica amministrazione locale, o deve solo prevalere quella economica?”.
Occorre un “Patto per il lavoro e lo sviluppo” per il nostro territorio tra amministrazione pubblica, sindacati e imprese e Ivrea deve esserne la proponente quale città di riferimento – diceva Unione Popolare nel suo programma per le amministrative di maggio aggiungendo “I temi del lavoro e dello sviluppo devono tornare al centro di una strategia di rilancio con un doppio obiettivo: ricucire le tante fratture sociali cresciute in questi anni e contribuire alla promozione di un nuovo modello sociale ed economico, che tenga insieme partecipazione, inclusione e crescita.”.
Cadigia Perini