Il Comitato No Cava scrive a Città Metropolitana, Regione e Comune d’Ivrea

Tra le tante osservazioni inviate anche la richiesta (poi negata) di partecipare alla conferenza di servizi di mercoledì 5 marzo. Il Comitato: “ci sono troppe criticità e il contesto è mutato. La concessione va fermata

221 firme e 8 pagine di osservazioni. Sono questi i numeri che descrivono le azioni che il Comitato No Cava sta portando avanti per tentare di frenare, modificare o addirittura bloccare il rinnovo della concessione della società COGEIS per attività di estrazione nell’area San Bernardo d’Ivrea.
La storia della cava di San Bernardo comincia 10 anni fa quando il 4 dicembre 2014 la società Cogeis di Borgofranco otteneva da parte del SUAP d’Ivrea il nullaosta per cominciare a scavare in una porzione di territorio eporediese a ridosso di via delle Fornaci (nei pressi della ditta ICAS). Preoccupati per l’impatto che l’attività di estrazione avrebbe avuto sulla vita del quartiere, i residenti di San Bernardo si organizzarono dando vita ad un comitato locale. Appoggiati dal Movimento 5 Stelle organizzarono “caldi” momenti di confronto pubblico con l’allora amministrazione Della Pepa, una petizione sottoscritta da 2.600 cittadini e arrivarono a presentare una richiesta di parere al Consiglio di Stato, parere che fu però favorevole alla concessione.
Nonostante questa sconfitta, la “battaglia” rimase congelata, in quanto nemmeno un grammo di sabbia venne estratto dal 2014 ad oggi.

L’area interessata dalla Cava, in prossimità di via delle Fornaci (l’area 1 in giallo è la ditta ICAS)

Il 4 novembre di quest’anno il “fantasma” della cava di San Bernardo è riapparso sui tavoli della Città Metropolitana in quanto la ditta COGEIS ha presentato istanza di rinnovo dell’autorizzazione; una scelta che alcuni ritengono strategica per accaparrarsi una posizione di vantaggio per la vendita di materie prime nel caso in cui comincino i lavori di costruzione del nuovo ospedale eporediese.
Nuovamente preoccupati per gli stravolgimenti che potrebbero verificarsi se la cava dovesse entrare in funzione, i residenti del Comitato No Cava hanno rapidamente raccolto 221 firme e inviato una relazione di 8 pagine alla Città Metropolitana di Torino, al Settore Polizia Mineraria, cave e miniere della Regione Piemonte, all’ARPA e al Comune d’Ivrea.
Il documento, dettagliato, espone quelli che sono gli aspetti più controversi di questa concessione, a cominciare dagli aspetti procedurali. «La variante al PRGC sull’area di cava – scrivono i residenti – seppure adottata con deliberazione del Consiglio Comunale in data 17 gennaio 2014 non è mai stata recepita negli elaborati cartografici e solamente con la variante generale al PRGC conclusasi nel giugno 2024 è stata finalmente recepita». In altre parole per 10 anni chiunque avesse consultato le tavole del PRGC non avrebbe trovato alcuna menzione alla cava e all’oscuro di questa “piccola” informazione avrebbe potuto comprare casa, investire risparmi o ristrutturare un immobile in quell’area. Inoltre l’attuale istanza di rinnovo presentata «non fornisce alcuna garanzia sul fatto che tra 10 anni la vicenda possa essere conclusa considerato che il richiedente [COGEIS, ndr] non ha alcun vincolo ad iniziare i lavori di scavo potendo, in astratto, mantenere l’autorizzazione in validità per altri 10 anni». “Ostaggi” di una cava fantasma che potrebbe restare “dormiente” per 10, 20, 30 anni senza alcun obbligo a cominciare gli scavi, ma ipotecando considerevolmente il futuro di quel quartiere.
I membri del Comitato No Cava denunciano anche che «l’attivazione di una cava ex novo nel sito di località Fornaci richiederebbe, oggi, una preventiva fase di verifica di valutazione ambientale ai sensi della L.r. 13/23 che, nel caso in esame non è stata effettuata in quanto, all’epoca, la cava era ricompresa in una delle casistiche di esclusione automatica». E quindi una cava mai entrata in funzione non potrebbe essere sottoposta ad una verifica di valutazione ambientale?

Un esempio di duna antirumore

Il Comitato No Cava lancia poi una stoccata al Comune d’Ivrea reo di non aver avanzato alcuna richiesta di aggiornamento a COGEIS per quanto riguarda la compatibilità acustica. La variante generale al PRGC del 2024 ha proposto d’inserire la cava in classe acustica 6 (da 2 che era nel 2014), ma se Città Metropolitana e Regione hanno provato, per quanto possibile, ad “attualizzare” l’istanza di rinnovo chiedendo integrazioni sulla parte acustica il Comune d’Ivrea non avrebbe fatto nulla in proposito.

Il documento si sofferma, infine, sui vari problemi legati alla viabilità (si parla di un transito di circa 60 mezzi al giorno), al deturpamento del paesaggio (verrebbero installate delle “dune trapezioidali” alte 5 e 7 metri per contenere il rumore) e soprattutto all’analisi costi benefici. I residenti si domandano, infatti: «esiste un bilanciamento tra gli interessi imprenditoriali e quelli collettivi?». La loro risposta è negativa, considerato il fatto che non solo il sito di lavorazione dei materiali sarebbe Borgofranco d’Ivrea e quindi comporterebbe un «notevole impiego di risorse fossili per estrarre e trasportare il materiale a 20 km di distanza», ma che inoltre i benefici a favore della collettività verrebbero quantificati in soli 80.000€ in 10 anni nelle casse comunali.

Il documento si conclude con la richiesta di poter partecipare, attraverso alcuni rappresentanti, alla conferenza di servizi di mercoledì 5 marzo. La richiesta non sarebbe stata accolta, ma dalla riunione sarebbe emersa la necessità di aggiornare la documentazione in quanto parzialmente obsoleta (parliamo di documenti vecchi di più di dieci anni). Quanto tempo ancora prima del verdetto finale?

Andrea Bertolino