Figlie di un dio minore

Due donne si tolgono la vita nel carcere Lorusso e Cotugno a Torino

Due donne morte a poche ore di distanza. Nello stesso giorno (il 10 agosto), nello stesso carcere (Lorusso e Cotugno, Vallette, Torino), nello stesso modo (decidendo di non voler più vivere).
Susan John  aveva 43 anni, era di origine nigeriana, parlava solo inglese, si professava innocente, aveva un marito e due figli.
Il giorno dopo essere entrata in carcere, a causa di una condanna a 10 anni e 4 mesi per tratta di persone, ha smesso di bere e mangiare, chiedendo insistentemente del figlio di tre anni e ha rifiutato ogni cura medica. Azzurra Campari  aveva 28 anni, era arrivata da Genova, aveva tentato in passato atti di autolesionismo, era reclusa per reati minori contro il patrimonio, sarebbe uscita tra meno di un anno e si è impiccata nella sua cella.
I suicidi in carcere, dopo gli 85 dello scorso anno, quest’anno sono già 42.
Nel Lorusso Cotugno (altrimenti detto “Le Vallette”) manca da agosto il direttore sanitario, la struttura è fatiscente e i detenuti ospitati sono 1400 con una capienza di mille. Nel Sestante, un padiglione dove finiscono i “nuovi giunti”, vivono stipati i detenuti che aspettano di essere trasferiti nelle celle della sezione penale. E il sovraffollamento non toglie solo spazi vitali, ma anche possibilità di lavoro e di svolgere attività che spezzino la monotonia della vita penitenziaria. Quella monotonia che porta all’emergere di situazioni di forte depressione, alla base di un aumento di suicidi e atti di autolesionismo nel periodo estivo.
Nel 2022 alle Vallette ci sono stati 3.761 eventi critici, tra cui 4 suicidi, 35 tentativi e 143 atti di autolesionismo, insieme a 329 richiami ai sensi del diritto carcerario, a cui sono seguiti una denuncia al Consiglio d’Europa e il trasferimento di detenuti per ovviare al sovraffollamento.
Costruire un carcere nuovo è costosissimo (…) ci sono vincoli idrogeologici, architettonici, burocratici – ha dichiarato il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Ma ciò che serve non sono altri carceri, ma carceri piene di attività, di cura e di attenzione alle persone detenute.
Non servono più spazi, ma più operatori. Di queste due donne non sappiamo quasi nulla e se non conosci le persone di cui dovresti farti carico come puoi pensare di capire i loro bisogni? Il XIX rapporto di Antigone descrive un carcere con una media di un funzionario giuridico-pedagogico ogni 71 detenuti, con picchi di un educatore ogni 379, pochissime le figure professionali quali psichiatri, psicologi, mediatori: deve cambiare l’idea di carcere, se oltre alla libertà personale vengono sottratte affetti, relazioni, autonomia. Se una madre detenuta non ha risposte quando chiede di vedere il figlio allora la pena diventa qualcosa che toglie la vita (altro che quanto recita l’articolo 27 della Costituzione e cioè che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e il carcere diventa una pattumiera.

L’estate, da questo punto di vista, non aiuta. Al caldo si aggiunge la chiusura di molte attività e quindi una situazione di ulteriore e sostanziale isolamento. Non è un caso che, durante i mesi estivi, proprio il numero dei suicidi cresca. Quest’anno, dei 42 già avvenuti, i soli mesi di giugno, luglio e i primi giorni di agosto ne hanno fatti contare 15.
Nel quartiere Carcere di Ivrea al 30 giugno di quest’anno c’erano 195 detenuti su una capienza di 210 – ci dice il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Raffaele Orso Giacone – Il carcere è stato costruito negli anni ’70, ma è entrato in funzione nel 1980, anche se non era ultimato, per ospitare i detenuti dell’Irpinia in seguito al terremoto che ha colpito quelle zone. Quello di Ivrea è un casermone di cemento e mattoni senza isolamento termico. Alle finestre delle celle ci sono grate a maglia larga e reti a maglia più stretta, a seconda del piano e della posizione. Ogni cella ha il blindo, che però non viene chiuso di notte. Non c’è aria condizionata. Sono arrivati i ventilatori, ma ognuno ha un costo di 35 euro e 2 euro al mese per la corrente elettrica consumata. Lo stipendio medio dei detenuti lavoranti è di 120 euro, da cui detrarre il costo del carcere, eventuali soldi da mandare a casa, la spesa del mese, i cui prezzi sono quelli del supermercato, offerte escluse. (sui prezzi troppo alti degli alimenti e gli aumenti ingiustificati ci sono però molte proteste dei detenuti. n.d.r.). Il medico è sempre presente, in carcere opera uno psicologo e al momento ci sono due educatrici,  La casa circondariale di Ivrea è stata visitata dall’Osservatorio dell’Associazione Antigone il 3 agosto 2021.

Simonetta Valenti