A rischio 65 posti di lavoro a Ivrea? Secondo Comdata i lavoratori “non rispondono ai livelli richiesti”

Ad inizio agosto Comdata convoca i sindacati per comunicare di voler spostare una delle commesse Unipol da Ivrea ad altra sede perché gli operatori eporediesi non rispondono ai livelli richiesti. Un fatto grave, perché non è la prima volta.

Come sempre le cose peggiori le grandi aziende le propinano d’estate, quando siam tutti distratti dal caldo e dalle vacanze, non fa eccezione quindi l’annuncio di Comdata di voler trasferire la commessa Unipol Assistenza Stradale attualmente gestita a Ivrea in altra sede. Il 4 agosto l’azienda ha convocato i sindacati per comunicare che la commessa Unipol “non esprime i livelli di servizio e di produttività richiesti” e che questo “sta generando tensioni e criticità con il committente Unipol tanto da temere la continuità del servizio”, come si legge nel comunicato sindacale.

Parliamo di 65 persone, non macchine né mobili. Operatrici e operatori che coprono turni dalle 7 alle 24 sette giorni su sette. Dipendenti, ma anche interinali, nonostante Comdata abbia cassa integrazione in corso (sono in cig gli ex-Inps ad esempio). Lavoratrici e lavoratori sotto stress perché, come spesso accade, non hanno ricevuto adeguata formazione – in particolare sul campo – sulle specificità e procedure di quel cliente, che si trovano a dover rispondere a persone che chiamano in un momento critico (panne, incidente) e vogliono risposte immediate. E non tutto dipende dall’operatore Comdata-Unipol perché alcuni passaggi coinvolgono terze parti (es. società di soccorso stradale) che rispondono con i loro tempi. E poi parliamo di turni prima continuati ora con orario spezzato (quello che era il turno 8-16 è ora 8-18 con due ore di stacco dalle 12 alle 14). In teoria è buona cosa una pausa pranzo più lunga per riprendersi da un lavoro mentalmente usurante, ma in questo modo il turno si è dilatato creando disagi, ad esempio nella gestione familiare. E ancora, agli operatori Unipol AS nel periodo estivo di picco chiamate sono stati negati ferie e permessi se non già programmati. Anche l’ambiente di lavoro non è dei più favorevoli. Tutta Comdata da dopo la pandemia, avendo mantenuto molti lavoratori in smart working, si è compattatata in un’unica ala di PU1, un edificio che inoltre risente di una manutenzione non più al top, neanche da dire con l’aria condizionata che funziona quando vuole. E infine: chi fa il turno fino alle 24, poiché le guardie smontano alle 23 e non potendo i lavoratori rimanere in sede senza sorveglianza, deve fare la parte finale del turno nella propria abitazione, dove non è detto che la connessione sia performante, con evidenti disagi e ulteriore stress.

Tutto ciò detto, immaginate ora come si debbano sentire questi lavoratori a essere giudicati incapaci di esprimere i livelli di servizio e produttività richiesti

Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?

Ma si sa, non siamo nell’Ivrea degli anni 50 dove un imprenditore diceva cose folli chiedendosi “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?” e si rispondeva affermando che ‘l’impresa nasce per responsabilmente allargare il suo sguardo sul mondo e si sviluppa per poter ridistribuire gran parte dei profitti facendoli ritornare alla comunità circostante. E ciò non solo attraverso il semplice aumento dei salari, ma promuovendo in tutti i suoi aspetti, sia materiali che spirituali, l’armonico sviluppo dell’essere umano’. Follia, fantasie. Utopia …

Infatti tornando alla realtà, Comdata ha trovato una soluzione meno romantica: da settembre sposta il lavoro in un’altra sede (si dice a Torino).  Come a dire che il problema sono proprio i lavoratori e le lavoratrici di Ivrea. La loro inadeguatezza a rispondere come cliente comanda. Nessuna autocritica risulta essere pervenuta da parte di Comdata rispetto all’organizzazione del lavoro e alla formazione degli operatori, due responsabilità in capo all’azienda.

Questa operazione rischia di avere un caro prezzo per i lavoratori in quanto, senza mezzi termini, l’azienda ha già anticipato di non avere, al momento, idea di come saturare e ricollocare i lavoratori che non opererebbero più sulla commessa Unipol.”, scrivono i sindacati nel loro comunicato.  In realtà questa operazione non “rischia” di danneggiare i lavoratori di Ivrea, ma senza dubbio li danneggerà. Infatti il trasferimento del lavoro altrove non è una soluzione al problema, ma è il problema e per questo inaccettabile, da respingere al mittente.

È l’ennesimo caso in cui Comdata toglie commesse alla sede Ivrea (altro che “we care”). Di recente è accaduto con Iliad che aveva circa 70 lavoratori impiegati e adesso ne ha poco più di 10, come denunciano anche i sindacati: «Pur non avendo fornito numeri e date precisi ciò che l’azienda ha dichiarato è sufficiente per ritenere grave il continuo disinvestimento che Comdata, ormai da tempo, sta operando sul sito di Ivrea attraverso operazioni di spostamento di volumi e quindi lavoro verso altri siti perseguendo profitto e marginalità attraverso un pericoloso dumping tra lavoratori».

Non occorre però aspettare numeri e date precisi per costruire immediatamente una mobilitazione, dicendo chiaro alle lavoratrici e ai lavoratori Comdata di Ivrea che se non metteranno giù le cuffie adesso, dopo sarà troppo tardi e queste rimarranno per sempre nei cassetti.

E a sostenere la rivendicazione dei lavoratori Comdata per conservare il lavoro e avere condizioni di lavoro dignitose, deve esserci l’amministrazione pubblica locale. L’assessora al lavoro Colosso, la commissione lavoro presieduta dal consigliere De Stefano, convochino quanto prima sindacati e dirigenza Comdata, che ricordiamo è la più grande azienda privata sul territorio eporediese, per manifestare la propria preoccupazione per la situazione della sede di Ivrea e chiedere un chiaro impegno a mantenere, se non sviluppare, il livello occupazionale.

Cadigia Perini