Fino al 7 gennaio 2018, la mostra in via delle Rosine a Torino
Dolce Vita e Paparazzi, quasi un connubio inscindibile tra i personaggi dello spettacolo e gli agguerriti fotografi a caccia di immagini. Da una parte i divi del cinema, soprattutto quelli degli anni sessanta e settanta, dall’altra i fotografi in appostamento. Scatti rubati, inseguimenti in vespa, soffiate sulla presenza di un attore o di un’attrice in quello o quell’altro posto. Paparazzi e Dolce Vita scritti con le iniziali in maiuscolo come a sottolineare il condensato di un’epoca speciale, a ridosso del boom economico, quando la vita si faceva più dolce anche per le persone comuni e i rotocalchi e i settimanali di intrattenimento moltiplicavano le tirature. Via Veneto a Roma, intellettuali e divi, vita notturna, flirt e chiacchiere, fotografi scatenati con le Hasselblad dai grandi flash.
Dietro a quei lampi improvvisi lo sguardo sorpreso della diva immortalata, a volte compiaciuto, a volte irritato, a volte pesantemente infastidito.
Pare che il neologismo “paparazzo” sia nato dalla fusione di due termini come “pappataci” e “ragazzo”, ma le origini di quel nomignolo pungente restano incerte mentre la sua fortuna ha scavalcato il tempo e, ancora oggi, pur nel vortice dei cambiamenti, il paparazzo sopravvive come un’icona dal glamour sfacciato. Uno dei più famosi paparazzi era Tazio Secchiaroli, sempre pronto a inserirsi sui set del maestro Fellini, sempre pronto a tendere l’agguato dello scatto vincente. Tantissime sono le sue foto in questa mostra, alcune celebri come quella dello spogliarello di Anita Ekberg nel 58. Spogliarelli che, in quell’Italia ancora bigotta, dovevano rappresentare l’apice della trasgressione licenziosa. I giornali pubblicavano foto censurate, pecette nere nascondevano l’ardire di un capezzolo nudo. Oggi quelle immagini sembrano reperti monacali e innocenti, ieri il segno sospetto di una vita libertina e corrotta.
Divismo e trasgressione, paparazzi a caccia di donne tentatrici, gossip e nuovi scandali, dive seminude o adamitiche, magari “catturate” dall’obiettivo a bordo piscina come Brigitte Bardot a Roma nel 67. Foto in rigoroso bianco nero, ritratto di un tempo mondano fatto di auto lussuose, belle donne e locali alla moda. Le foto della mostra sono un percorso di centocinquanta immagini. Molti scatti includono proprio i paparazzi in azione, come in una sorta di metapercorso dove chi fotografa è a sua volta fotografato da altri colleghi, ed è proprio, grazie a questi scatti, che la figura del paparazzo emerge attraverso i gesti, le rincorse, le fughe e gli stratagemmi del suo lavoro.
Walter Chiari, un altro celebre “paparazzato”, li definisce come fautori di una pratica predatoria. I paparazzi spesso lavorano in due: uno, senza macchina fotografica, si avvicina alla preda, la provoca o richiama la sua attenzione preparando il terreno all’irruzione del secondo fotografo pronto allo scatto. Le dive sono attese quando scendono dall’auto (Sofia Loren in una foto del 61 a Roma) oppure inseguite quando in auto si allontanano (Soraya) oppure quando sbarcano all’aereoporto (Liz e Burton a Napoli nel 1973).
Il lavoro del paparazzo si tramuta in un assalto impudente e persecutorio; gli scatti fissano mani che si ribellano, volti di divi che si nascondono, bocche che si indignano, ma spesso si insinua tra le parti anche la complicità. Spesso è la diva che cerca il fotografo e lo scatto che ne esalta la fama, spesso le parti si accordano, ordiscono falsi scoop per depistare la concorrenza. La fotografia diventa anche vernacolare, (Audrey Hebpurn è fotografata mentre si trova dal fruttivendolo). Gli scatti celebri si susseguono: paparazzati sono Maurizio Arena, Antonioni, Monica Vitti, Alain Delon e Romy Schneider, la celeberrima Jackie senza veli, la star delle star Ava Gardner e tanti altri. Con il passare del tempo, l’era del paparazzo prende altre strade. Via Veneto ha perso il suo charme. I lunghi teleobiettivi hanno trasformato gli appostamenti in una specie di safari. Il paparazzo diventa invisibile, le tecniche dello scatto rubato consentono la reciproca tranquillità della distanza. Oggi la dolce vita si protegge dai rischi del presente, si chiude all’interno degli spazi privilegiati. Il bianco e nero cede il campo al colore. Gli anni sessanta, all’insegna del paparazzo d’assalto e del divismo di piazza, rimangono sulle pareti di questa mostra, tra smoking e décolleté, storici striptease e dive immortali.
Pierangelo Scala