Caro amico ti scrivo. Così mi distraggo un po’

Caro amico ti scrivo,
sai, non so quale sia precisamente ora il tuo indirizzo, perciò recapito qui il mio messaggio per te. Con la speranza che, in qualche modo, tu possa leggerlo. Proverò anche a legare una copia di questo giornale ad un pallone rigonfio di elio, così da oltrepassare la volta celeste ed arrivare su, su, dove qualcuno sostiene ci siano le anime di tutti gli esseri viventi passati a miglior vita.
Non so se il paradiso delle star sia limitrofo a quel­lo dei comuni mortali, ma chi più di te rappresentava la figura d’un comune mortale, divenuto immortale?
Niente… volevo farti gli auguri, in modo semplice, colmo di gratitudine. Oggi è il 4 marzo.
Avresti 74 anni e ci avresti regalato ancora tante canzoni straordinarie.
Però, forse, ho capito. Ho capito che gli artisti come te servono ad alimentare la fiamma, una fiamma che dobbiamo esser bravi noi a tenere accesa. E non è semplice, credimi. È un po’ come la rivoluzione, tutti gridiamo di doverla fare assieme, ma poi ci ritroviamo i soliti quattro sfigati sbraitanti, sventolando striscioni e pronti a prendere la giusta dose di manganellate sul muso. È così che sta girando da queste parti. Butta male.
Il giornale da cui sto cercando di tenere questo fantomatico contatto ultraterreno è arrivato al suo epilogo (carta­ceo), ed è un epilogo triste, più che mai amaro, poiché, d’altro canto, non rappresenta in alcun modo il fallimento d’un sogno protratto ormai da anni, al quale tante teste e tanti cuori hanno apportato pensieri e sentimenti preziosi, quanto invece il deteriorare d’una cultura costipata, l’imbar­barimento di vacui esseri diafani, disinteressati cronici. Tanto il vento soffia, ed è più facile esser foglia trasportata dal vento che quercia che si oppone alla corrente maledetta. Mio padre dice sempre che bisogna essere come la canna, non come la quercia, bisogna saper trovare la forza di piegarsi e di rialzarsi, nonostante gli uragani che la vita ci scaraventa addosso. Penso che il termine adatto sia appunto: “resilienza”.
Che palle eh, dal doverti fare gli auguri, sono passato a farmi psicanalizzare da qualcuno che non mi può neanche rispondere.
Eppure ti sento vicino. Sempre più vicino. Per questo ti scrivo, caro amico. In cambio, prometto di controllarti Anna e Marco. E grazie; grazie per aver scritto “Tu non mi basti mai”, te la invidio, è uno di quei capolavori che avrei voluti scrivere io. Cercherò, un giorno, di trovar le parole per comporre qualcosa che si avvicini almeno di un passo all’immensità dei tuoi versi. Se no a cosa servite voi… maestri eterni?
Se ti capita di vederli, salutami Gaber e Faber. Mancano tanto anche loro. E sarebbero incazzati neri a vedere in quale maledetta poltiglia brancoliamo.

Giove disse alla Pecora: – Non saiquanta fatica e quanto fiato sciupiquando vieni a raccontarmi i guaiche hai con i Lupi. È meglio che stai zitta e li sopporti.Hanno torto, lo so, non si discute:ma i Lupi sono tanti e troppo fortiper non aver ragione.
-TRILUSSA-

Riccardo Bonsanto