Gli insegnamenti di una professoressa

Qualche riflessione sulla notizia della professoressa transgender a Ivrea, cosa ci ha insegnato e cosa possiamo ancora imparare

Poco tempo fa, la notizia della prima professoressa dichiaratamente transgender nel liceo C. Botta di Ivrea ha creato non poco scalpore sulle pagine dei quotidiani locali e nazionali. Ora, dopo il fisiologico sgonfiarsi della notizia, pare giunto il momento per qualche breve riflessione, non tanto sulla vicenda in sé, tutto sommato relativa alla sfera personale della professoressa, ma piuttosto su ciò che da questa vicenda possiamo trarre come comunità.

La prima lezione ce la insegnano direttamente gli studenti della suddetta professoressa: a differenza di quanto potrebbe pensare chi tende a giudicare con severità le nuove generazioni, i ragazzi hanno reagito da subito in modo positivo, sostenendo la professoressa nel suo percorso di transizione. Dimostrando un’elasticità mentale maggiore di quella presente nel normale dibattito socio-politico degli adulti, questi studenti sono la migliore prova possibile che la società sta cambiando e che la mentalità retrograda e bigotta ancora molto presente e pervasiva nel nostro paese ha in realtà le ore contate. Tanto più che la vicenda ha avuto come epicentro il liceo Carlo Botta di Ivrea, spesso descritto nelle parole e nelle memorie degli ex studenti come impermeabile a qualunque problematica civile contemporanea. Insomma, c’è vita dopo Cicerone.

Ma c’è di più: una settimana prima dell’esplosione della notizia sulle pagine dei quotidiani nazionali, compare a riguardo un trafiletto di basso livello dal titolo Il prof  truccato da donna.Oltre alla pochezza e mancanza di tatto e conoscenza sul tema già presente nel titolo, il pezzo parlava di un supposto shock negli studenti, di gossip e messaggi rimbalzati da un telefono all’altro che avrebbero coinvolto ragazzi, genitori, religiosi e politici locali.

Saranno proprio gli studenti (attuali ed ex) della professoressa a riempire di messaggi di critica proprio il giornale che aveva pubblicato quel pezzo, accusandolo non solo di trattare le questioni di genere con poco o zero riguardo, ma anche di aver volutamente esagerato la reazioni dei ragazzi, ben poco stupiti e ancor meno scandalizzati.

Oltre al riscontro positivo su una generazione troppo spesso biasimata, ma dalla quale forse avremmo molto da imparare, la reazione dei ragazzi a questa vicenda dimostra una volta per tutte come le resistenze della parte più conservatrice della società all’educazione di genere nelle scuole (la famigerata “teoria gender”) non abbiano ragione di esistere, ma anzi siano solo il prodotto di una mentalità retrograda ormai distante dalla realtà vissuta dai giovani. Insegnare a studenti di ogni età i concetti base di preferenza sessuale e identità di genere non sarà quindi vettore di confusione o decadimento sociale, come piace pensare a bigotti di ogni età ed estrazione sociale, ma potrebbe essere persino qualcosa della quale gli studenti desiderano parlare, sulla quale hanno necessità di confrontarsi. Anzi, a dirla tutta potrebbero persino  insegnare loro qualcosa a chi è ancora fermo alle timide lezioni di educazione sessuale eteronormativa e spesso indietro coi tempi. Con buona pace del senatore Pillon e della sua ossessione per gli uomini con lo smalto.

L’altro aspetto che merita una riflessione arriva direttamente dalle parole della professoressa al centro della vicenda. In un’intervista l’insegnante afferma che già un paio di studenti si sono rivolti a lei in cerca di ascolto, ed esprime il desiderio di diventare un possibile punto di appoggio per tutti i giovani in cerca della propria identità, che sia di genere o meno, o che subiscono qualche forma di bullismo.

Ivrea non è mai stata una città particolarmente omofoba, nonostante il suo essere città di provincia possa portare a pensare il contrario. Ciò detto, è comunque una città priva di qualsiasi forma di supporto o aiuto sulle tematiche di genere: nessuna associazione, nessun centro di  ospitalità per giovani LGBTQ+, nemmeno uno sportello di ascolto. Insomma, chiunque non rientri nella categoria degli etero cisgender in questa città può fare affidamento solo sulla comunità e i rapporti che riesce a costruire e che possono variare enormemente da una situazione all’altra. È necessario poi ricordare come sotto la facciata degli articoli sulla scelta coraggiosa della professoressa transgender, esista una parte di città decisamente meno progressista e disposta all’accettazione della diversità. Una parte di città sicuramente meno rumorosa e consistente di quanto poteva essere anche solo dieci anni fa, ma che esiste e continua a esistere e che agisce di più quando meno la si osserva.

Nella speranza che il coraggio della professoressa sia non solo di ispirazione per altre persone, ma anche pretesto e occasione per un dibattito più onesto, intelligente e costruttivo sui temi LGBTQ+ anche a Ivrea, facciamo alla docente i nostri migliori auguri.

 

Lorenzo Zaccagnini