Basta con i femminicidi, cominciando dalle parole
Scarpe rosse, panchine rosse, il rosso come colore simbolo dell’eros spezzato ma anche del sangue versato. Le donne e il femminicidio, vite stroncate, donne stuprate, umiliate, perseguitate da uomini malati, una lunga, infinita catena di violenze, in un crescendo statistico di numeri che lasciano attoniti, annichiliti. Una donna ogni due giorni viene uccisa spesso da chi diceva di volerle bene, anzi di amarla, abusando di quel verbo, il verbo amare, che più di ogni altro è oggetto di mistificazione planetaria. In nome dell’amore si uccide e la prima cosa che appare chiara è che quel sostantivo è profanato, vilipeso, tradito. Usiamo il verbo amare con faciloneria e superficialità, disconoscendone semplicemente il significato e quindi falsandolo nella verità del suo etimo profondo. Una dichiarazione d’amore è quasi sempre una forma di contraffazione, risuona imbarazzante per chi la sente ed è tanto più fasulla quanto è spudoratamente ostentata come succede anche in tv. L’amore richiede silenzio, non ha bisogno di parole.
L’uomo è malato e come tale produce società malate che, a loro volta, generano figli malati. Di chi è la colpa originaria?, della società?, della religione?, della politica, della magistratura?, di che altro?
Oltre alle contromisure in atto, comunque insufficienti in quanto le donne che sporgono denuncia vengono ulteriormente vittimizzate, si è detto che la rieducazione civile e sociale, ma meglio dire dei sentimenti, deve ripartire dal linguaggio. La rifondazione corretta del linguaggio deve bandire espressioni tipo: “amore malato-amore criminale- rapporto di alternanza tra amore e odio- perdita della capacità di amare ecc”.
Inoltre è assolutamente improprio definire “dramma” il femminicidio. Il femminicidio non è mai un “dramma” ma una “tragedia” e, in quanto alla “perdita della capacità d’amare”, questa è un’espressione senza senso poiché non si può perdere ciò che non si è ancora acquisito. Infatti, è proprio l’incapacità di amare che rende l’uomo malato.
Allo stesso modo le brutte e inutili espressioni quali “stalking” e “stalker” servono solo a titillare la vanità patologica dei giornalisti. Lo “stalker” non è un molestatore, ma un “omicida potenziale” soprattutto quando è recidivo nelle minacce e negli atti di violenza commessi contro la donna insieme alla quale ha addirittura formato una famiglia.
Si è detto che gli uomini non tollerano di essere rifiutati. In realtà non tollerano di essere respinti dalla donna su cui credono di poter vantare un diritto di proprietà. Il possesso, in fondo, presuppone una certa temporaneità, una temporaneità che svanisce, con il legame del matrimonio, quando il possesso si trasforma e radicalizza inconsciamente nel diritto di proprietà. Stando alle statistiche la gelosia è la causa più scatenante dei femminicidi. Uno dei passi da compiere, a tutela preventiva delle donne, è quello di capire che la gelosia è un disvalore e non un valore. In questo senso le donne, vittime come gli uomini di questo equivoco, rischiano di scambiare la gelosia del partner come forma di attaccamento nei loro confronti. Invece si tratta di percepirla come un campanello d’allarme.
In questa direzione mi permetto di suggerire che nelle scuole, almeno il 25 novembre di ogni anno, il tema di italiano venga svolto scrivendo in rosso tutti gli aggettivi e i pronomi possessivi. Potrebbe servire a sensibilizzare i ragazzi sulla pericolosa deriva del possessivo “mio” ecc.
Gli uomini, che uccidono le donne, sono esseri deboli che mascherano la loro inadeguatezza umana con la prevaricazione della forza fisica. Ammazzano le donne perché fondamentalmente ne hanno paura, ne temono la superiorità. Quando si ha paura si diventa aggressivi.
Il contrario della gelosia si chiama libertà, l’unica strada possibile sulla via che conduce all’amore. Certo il percorso è lungo e solitario in quanto uomini liberi si diventa evolvendo faticosamente verso la maturità. Un uomo maturo sa che, uccidendo una donna, uccide virtualmente anche se stesso, la parte femminile che c’è in lui e anche la prole che forse ha messo al mondo con questa donna.
Il titolo di questo pezzo “L’unico sangue che non gradite è quello mestruale” è tratto da una scritta letta su un cartello durante la manifestazione del 25 novembre dedicata alla violenza di genere.
Mi ha colpito perché è un’espressione forte e abbastanza dura per penetrare nelle coscienze.
Basta con la sottovalutazione maschile del femminicidio, una piaga sociale che ci rende indegni di pronunciarci come popolo civile!
Gli uomini non possono dominare le donne perché non riescono a dominare nemmeno se stessi e, comunque, il concetto da assimilare è quello che implica l’assenza di volontà di dominio sul prossimo. Certo gli uomini andrebbero aiutati almeno da quelle forze che si dichiarano religiose ma che, in realtà, poco o nulla hanno a che fare con il vero spirito religioso. Basti dire che, ancora oggi, nella Bibbia, sta scritto che la donna deve essere sottomessa all’uomo e l’uomo, atavicamente ombrato dalle peggiori convinzioni, ancora ci crede.
Quando gli uomini si libereranno da questo pregiudizio, potranno finalmente vergognarsi di se stessi e le donne, forse, non ci rimetteranno più la vita.
Pierangelo Scala