Il convegno organizzato dal comitato AMIunaCittà sulla proposta di fusione dei comuni ha fatto uscire allo scoperto i sindaci critici dell’Unione Eporediese, ma ha anche gettato le premesse per un percorso amministrativo futuro più intercomunale. Sul tema della fusione si sono espressi i candidati a sindaco d’Ivrea: tutti favorevoli, nessun contrario
«Non vogliamo fare una città grande di cemento o strade, ma una città diffusa che sia una comunità». Con queste parole Emilio Torri ha inaugurato la mattinata di convegno sulla proposta di fusione dei comuni del territorio tenutasi sabato 12 maggio in una sala Santa Marta piuttosto gremita.
Tanti sono stati gli interventi, a cominciare da Antonello Barbieri, presidente del Coordinamento Nazionale Fusione Comuni (FCCN) il quale, dopo aver rimarcato il dato di 150 fusioni attuate o in atto in tutt’Italia ha rapidamente passato la parola a Liliane Barda, referente del comitato AMIunaCittà. La proposta avanzata dal comitato non è differente da quella che era già stata presentata un paio di mesi fa nella sede di ViviamoIvrea ed è stata immediatamente ripresa da Barda in diversi passaggi: «riteniamo importante partire dall’attuale Unione Eporediese e renderla una fusione operativa di 33.000 abitanti»; «crediamo fondamentale dare una risposta di tipo strutturale al territorio, facendo crollare le barriere amministrative e unire le risorse. Non si tratta di Ivrea che fagocita, ma di creare una città in cui tutti partecipino»; «la fusione ha carattere di volontarietà: se i cittadini o i comuni non vogliono non si fa». C’è stata anche l’opportunità di ribadire le premesse sulle quali è sorta l’idea di guardare oltre lo steccato comunale, a partire dal tema dell’invecchiamento demografico (ben più marcato nella Zona Omogenea Eporediese rispetto alla media italiana) e dalle difficoltà di far ripartire economicamente il territorio.
Tra le varie testimonianze di fusioni comunali riuscite in Italia quella dall’ex sindaco di Figline Riccardo Nocentini è stata la più significativa, non solo per la caratteristica di essere stata la prima fusione della Regione Toscana, ma perché tramite il suo racconto è riuscito a introdurre un argomento “sensibile” legato all’attuale situazione dell’Unione Eporediese (l’Unione “di servizi” avviata nel 2015 tra i comuni di Ivrea, Banchette, Cascinette d’Ivrea, Fiorano e Montalto Dora) : «se in un’Unione di comuni vengono riversati soli i vigili urbani o la protezione civile, quella è un’Unione debole». Dello stesso avviso il sindaco di Alice Superiore Remo Minellono il quale, nel ricordare il referendum consultivo che si terrà il 27 maggio per dar vita alla prima fusione della Valchiusella ha rimarcato il ragionamento di Nocentini: «Sei su dodici comuni della Valchiusella fanno parte dell’Unione della Valchiusella e abbiamo visto dei risparmi: certo, non bisogna mettere solo protezione civile, ma servizi pesanti, come l’Ufficio Tecnico».
Ma per quale ragione l’Unione Eporediese rappresenterebbe un “nervo scoperto”?
I sindaci dell’Unione Eporedise critici
Tra una Unione e una Fusione esiste una differenza sostanziale: nel primo caso i comuni mantengono il loro ruolo, la loro autonomia decisionale nonché potere politico, mentre nel secondo caso tutto viene accentrato nelle mani di un unico ente comunale derivante dalla fusione. Su questo punto Liliane Barda ha cercato di fare chiarezza: «nelle Unioni viene semplicemente creato un ente sovracomunale che rischia di complicare il processo decisionale. Come sostenitori della fusione non siamo critici, ma riteniamo che l’Unione non basti».
D’avviso diametralmente opposto si sono dichiarati i sindaci dei comuni di Banchette, Cascinette, Fiorano e Montalto Dora i quali, attraverso una lettera pubblica, hanno affermato: «L’iniziativa avviata dall’AMI, partendo dalla proposta di fondere i 58 comuni dell’area, successivamente è evoluta verso la richiesta di fusione ai soli comuni dell’attuale Unione dell’Eporediese.
Il mandato ricevuto dai nostri consigli comunali è per la realizzazione dell’unione e non per la fusione con la città di Ivrea. Ai candidati sindaci di Ivrea chiediamo di non interrompere il percorso dell’Unione, di non intraprendere iniziative che avrebbero forse come unico risultato di costringere le amministrazioni aderenti ad abbandonare l’unione stessa, lasciando Ivrea sola nel confronto con altre realtà amministrative numericamente più importanti».
La parola dei candidati sindaci d’Ivrea
La lettera dei sindaci critici del progetto di fusione rende la prospettiva “federalista” più incerta. Di primo acchito questa dichiarazione pubblica sembrerebbe essere la tipica difesa del “campanile”, ma considerato l’attuale infruttuoso percorso di unione non c’è da sorprendersi che i comuni dell’eporediese sollevino critiche e manifestino scarsa fiducia. Del resto, come ha sottolineato Barda: «la prima parola spetta ad Ivrea che dev’essere in grado di prendere una decisione forte».
Nel cercare di capire come si muoverà l’amministrazione futura d’Ivrea su questo tema la mattinata si è infine conclusa con un confronto tra i 5 attuali candidati a sindaco: Stefano Sertoli, Maurizio Perinetti, Massimo Fresc, Francesco Comotto e Igor Bosonin.
Nessuno contrario alla proposta, tutti favorevoli, se pur con le dovute eccezioni. Certo nessuno ha preferito spingersi oltre dichiarazioni come “occorre partire da un percorso di sensibilizzazione dei cittadini” e la sostanza generale dei ragionamenti è stata: “intanto lavoriamo sull’Unione, poi si vedrà”.
È sotto gli occhi di tutti il fatto che il tema della fusione venga considerato un “terreno impervio” da affrontare, una strada che comporta l’assunzione di una responsabilità e di una capacità diplomatica di non facile attuazione, soprattutto se messa in campo in un territorio particolarmente frammentato dal punto di vista amministrativo come quello dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea. L’occasione della campagna elettorale ha avuto, se non altro, il pregio di aver fatto uscire allo scoperto i sindaci critici dell’eporediese e di aver infranto pubblicamente un tema considerato alla stregua di un “tabù”. Nessuno vuole sbilanciarsi troppo favorevolmente, ma è altresì vero che dichiararsi contrari vorrebbe dire incappare in facili accuse di campanilismo. L’auspicio è che si possa guardare oltre il “tatticismo elettorale” e che l’ambizione possa tornare ad essere una qualità politica.
Andrea Bertolino