Sì, è vero, l’aggettivo kafkiano è troppo abusato, ma risulta il più adeguato a spiegare quel misto di assurdità, incomprensibilità e sconcerto che lascia attoniti nel vedere a Trieste i portuali (diventati riferimento per tutti i “no pass” e “no vax”) caricati dalla polizia, mentre a Roma PD e satelliti del “centro sinistra” festeggiano le vittorie nei ballottaggi e in tutte le TV imperversano le interpretazioni sul significato del voto nelle grandi città e gli scenari politici che si aprono.
Ma lo “scenario” politico e sociale è già drammaticamente aperto ed evidente in ciò che accade a Trieste dove una categoria di lavoratori storica e centrale (tra gli “eroi” del lavoro manuale ed essenziale riscoperto in occasione della prima ondata della pandemia) non è guida di un conflitto per un miglioramento sociale collettivo, ma catalizzatrice di un movimento che rivendica il primo posto alla libertà individuale (seppur, forse per effetto della tradizione culturale della categoria, giustificato dalla necessità di non dividersi tra lavoratori).
“Scenario” che risulta evidente anche nell’astensionismo che ha ridotto a meno della metà l’elettorato che si è espresso in queste elezioni comunali e fa sì che i sindaci eletti quasi ovunque raccolgano il consenso complessivo (diretto nel primo turno e come “meno peggio” nel ballottaggio) di poco più (e spesso anche meno) di un quarto dei cittadini che amministreranno.
Evidente anche la distanza ormai siderale tra forze politiche che nell’immaginario collettivo dovrebbero rappresentare il lavoro e sono oggi forse le più distanti, anche empaticamente, dalle condizioni di sofferenza e disuguaglianza economica, sociale e culturale che la pandemia ha amplificato. Distanza che impedisce di vedere l’enormità della ferita in ciò che accade a Trieste ai lavoratori portuali e di comprendere le ragioni di un astensionismo tanto esteso (questione che sarà dimenticata da tutti entro la settimana), mentre si festeggiano le vittorie per le “città conquistate”.
Solo due giorni prima di questo lunedì, sabato 16 ottobre a Roma, in chiusura della manifestazione “Mai più fascismi”, Landini ricordava quanto sia intollerabile che 5 milioni di lavoratori vivano sotto la soglia della povertà, anche perché «disagio sociale e precarietà indeboliscono le democrazie» E quanto sia necessario battersi per il lavoro dignitoso, condizione essenziale per l’affermazione della democrazia.
Come la storia insegna, però, o questi obbiettivi diventano l’orizzonte di un conflitto sociale ampio e partecipato, oppure, come mostrano le piazze italiane in queste settimane, il conflitto si manifesterà seguendo percorsi irrazionali, dettati dalle paure. Con l’ovvia e facile possibilità, come si è visto, di essere strumentalizzato e guidato da fascisti e mestatori di vario tipo.
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