Fare il bilancio dell’anno che si sta per concludere insieme con qualche previsione per quello che verrà non è mai facile, ma se il bilancio riguarda la scuola potrebbe essere semplice: da almeno un paio di decenni (e forse anche di più) sembra che la scuola non sia in cima ai pensieri di chi governa il Paese e quindi potrebbe sembrare scontato scrivere che le cose sono andate male e che magari andranno anche peggio.
In realtà, se si analizzano meglio alcune questioni chiave, il quadro che emerge presenta molti chiaro-scuri che è bene conoscere.
Incominciamo con un paio di dati “macro”; i numeri del sistema sono decisamente importanti: gli alunni sono in calo costante da anni, i docenti sono stabili e in alcuni casi in aumento.
Il calo degli alunni, soprattutto nella primaria, sta determinando un fenomeno del tutto nuovo: le cosiddette pluriclassi, che fino a qualche anno fa erano circoscritte alle piccole scuole situate in montagna o in aree periferiche, ora si stanno diffondendo persino nelle città e nelle periferie cittadine (capita persino ad Ivrea e in alcuni Comuni del circondario).
Le scuole dell’infanzia sono sempre più piccole e i plessi con una o due sezioni al massimo stanno diventando la regola.
E le previsioni sono drammatiche: nei prossimi 15 anni il sistema scolastico italiano potrebbe perdere un milione di alunni e alunne, con conseguenze sulle modalità di erogazione del servizio difficilmente immaginabili.
Eppure sembra che il tema non interessi molto né a chi governa né alle stesse organizzazioni sindacali che – in questa fase – sembrano occupate più che altro nella gestione dei problemi di “ordinaria amministrazione” (concorsi, graduatorie e così via).
Nel 2023, in concomitanza con il pieno insediamento del nuovo Governo, abbiamo assistito ad un altro fenomeno interessante: diversi eventi di cronaca hanno provocato l’immediata “reazione” del Ministro dell’Istruzione (e del Merito, non dimentichiamolo) Giuseppe Valditara.
E così alcuni episodi di violenza messi in atto da studenti contro compagni di classe o contro i docenti hanno convinto il Ministro ad annunciare una vera e propria “riforma” del voto di comportamento.
La riforma sarebbe dovuta partire già nel settembre scorso ma, si sa, gli uffici del Ministero non sono campioni di velocità e così la faccenda è andata per le lunghe e la preannunciata “riforma” è ora ferma come disegno di legge di iniziativa governativa e potrebbe quindi essere esaminata e approvata nei prossimi mesi e andare in vigore a partire dal 2024/25.
Altri episodi più o meno pesanti hanno indotto il Ministro a lanciare un progetto nazionale finalizzato ad introdurre nelle scuole il tema della “educazione alle relazioni”.
Personaggi di spicco del mondo della cultura e dello spettacolo si sono subito premurati di dire che l’idea è ottima e che anzi l’educazione alle relazioni deve diventare una vera e propria “materia” con tanto di voto che deve a sua volta “fare media” con quelli delle altre discipline.
Che questa idea sia del tutto “antipedagogica” è piuttosto chiaro anche a chi non è un esperto della questione: a relazionarsi non si impara seguendo apposite lezioni ma molto più semplicemente (e faticosamente) praticando quotidianamente la relazione con l’altro.
Anche perché, come ci hanno insegnato i grandi maestri dell’attivismo pedagogico (Dewey, Mario Lodi, Bruno Ciari e tanti altri), la scuola non deve preparare alla vita ma deve essere essa stessa esperienza di vita.
Ciò detto, il Ministro – sfruttando abilmente la scarsa conoscenza dei reali problemi del fare scuola da parte del grande pubblico – è riuscito a veicolare un messaggio vincente: “Mettiamo un po’ di soldi (15 milioni di euro, per la precisione) su un bel progetto nazionale gestito in modo creativo e fantasioso (gruppi di discussione diretti da qualche docente disponibile) e vedrete che le ragazze e i ragazzi diventeranno affettuosi e gentili”.
Come se bastassero un po’ di “buone maniere” e un’ora di gentilezza alla settimana per contrastare comportamenti violenti che hanno radici sociali (ma anche individuali) non sempre decifrabili.
Nell’anno che si sta concludendo è emerso poi in tutta la sua complessità un tema che è ormai “il” tema della scuola di oggi: il numero di alunni con disabilità è in continuo aumento (le ragioni sono tante, ne parleremo prossimamente in modo più puntuale) e questo sta comportando anche un aumento dei docenti specializzati (i cosiddetti insegnanti di sostegno) che operano nelle scuole.
Ormai un insegnante su 4 è docente di sostegno con tutto ciò che ne deriva. La conseguenza più importante (e più pericolosa) è che molto spesso l’alunno disabile viene “seguito” dal docente di sostegno a prescindere da un reale percorso di inclusione.
Per evitare che il modello dell’alunno-disabile-assegnato-al-suo-docente si diffonda e si consolidi si stanno studiando soluzioni alternative: una di queste è quella della cosiddetta “cattedra mista”, cioè docenti che operano in parte sulla propria disciplina e in parte sul sostegno. Ma è una strada lunga e tortuosa, certamente ci vorrà del tempo.
Ma cosa si prevede per il 2024?
Un buon punto di partenza per avere una idea di dove andremo a parare è certamente la legge di bilancio che si sta approvando in Parlamento.
Il dato più importante è che vengono riviste le uscite di spesa rispetto a quanto era stato previsto con la legge di bilancio di un anno fa.
Per il 2023, la previsione di spesa per la scuola si era attestata su 52,2 miliardi di euro (da ridurre a 51 per il 2024 e a 48 per il 2025).
Nella nuova legge di bilancio che il Parlamento sta approvando si parla di 52,9 miliardi per il 2024, di 49,9 per il 2025 e di 49 per il 2026.
In sostanza: ci saranno un po’ di soldi in più rispetto a quanto era stato previsto a fine 2022, ma negli anni successivi ci dovrebbe essere un sostanzioso recupero.
I “risparmi” dovrebbero arrivare da una diminuzione delle spese previste per le attività di inclusione e integrazione nelle scuole del primo ciclo che passerebbero da 6,5 miliardi nel 2024 a 6,3 nel 2025 e a 5,5 nel 2026.
Al contrario la stessa voce di spesa dovrebbe progressivamente aumentare nelle scuole del secondo ciclo: 1,9 miliardi nel 2024, 2,2 nel 2025 e 2,5 nel 2026.
Diminuiranno anche le spese per il personale docente nel primo ciclo (infanzia, primaria e scuola media), passando 20,6 nel 2024 a 20,4 nel 2025 e a 20 nel 2026.
Una diminuzione importante ci sarà anche per le spese per il personale docente nella secondaria di secondo grado, passando 9,5 nel 2024 a 7,5 nel 2025 e a 7 nel 2026. Su questa voce la previsione attuale è di 11,3 miliardi.
Un leggero incremento è previsto infine per le spese a sostegno delle scuole non statali: si passa dai 650milioni circa del 2023 ai 700 del 2024, somma che dovrebbe rimanere inalterata fino al 2026.
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, anche se il Ministro rivendica il fatto di essere riuscito a chiudere il contratto di un milione e 200mila lavoratori della scuola (ma va ricordato che i soldi per il contratto firmato il 14 luglio scorso erano già stati stanziati dai Governi precedenti).
Reginaldo Palermo