Avviata la procedura di licenziamento per tutti i 124 lavoratori della Sandretto. Per l’azienda è tutta colpa dei lavoratori, del sindacato e pure della Regione.
Dopo l’annuncio della messa in liquidazione del 29 giugno scorso, la proprietà va avanti per la sua strada calpestando ogni possibilità di trattativa con l’annuncio della procedura di mobilità per tutti i 124 dipendenti presentato nell’incontro del 25 ottobre in Regione.
L’azienda, controllata dalla belga Photonike Capital, si è dimostrata sorda ad ogni proposta alternativa, il piano è chiaro: chiudere e spostare macchinari, pezzi di ricambio e quant’altro altrove, magari in altre regioni dove vi sono incentivi per gli insediamenti, per poi risposarsi quando non più conveniente, e via e via.
A nulla è valso l’intervento dell’assessorato al Lavoro della Regione che nell’incontro del 25 ottobre sosteneva la richiesta sindacale di sospendere l’avvio della procedura di mobilità in attesa della decisione del Tribunale di Ivrea in merito al “concordato preventivo”, chiesto dalla stessa proprietà. Così dal giorno dopo l’incontro, alla spicciolata, i dipendenti stanno ricevendo le lettere di licenziamento. Amaro il giudizio dell’assessora Gianna Pentenero “l’azienda si dimostra poco responsabile verso i lavoratori, in primo luogo, ma anche verso le istituzioni che hanno riposto fiducia nel progetto imprenditoriale.
Eppure la Regione Piemonte, già con la precedente assessora, Claudia Porchietto, aveva messo in atto per la Sandretto diverse azioni che di fronte a una reale intenzione imprenditoriale avrebbero senza dubbio favorito la tenuta dello stabilimento, parliamo dell’accordo con Finpiemonte per l’acquisizione del marchio, la concessione di ammortizzatori sociali, la disponibilità a verifiche periodiche. E la proprietà belga all’inizio ha finto di starci. Finto perché ad agosto scorso mentre da un lato manifestava l’intenzione di ritirare la procedura di liquidazione, di riprendere l’assemblaggio di 13 presse già in corso di costruzione, di procedere a investimenti in nuove tecnologie e di chiedere il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per un anno, dall’altra procedevano alla rimozione di macchinari dal sito di Pont Canavese. Macchinari indispensabili per continuare il processo produttivo, come hanno denunciato i lavoratori sostenuti dalla Fiom-Cgil che hanno anche fatto un esposto alla Guardia di Finanza, per verificare cosa stesse uscendo dall’azienda.
Lo sconforto e la preoccupazione sono profondi, perché è sempre più chiaro, per l’ennesima volta in Canavese, di essere davanti a imprenditori opachi e spregiudicati. Al punto che dalle pagine di una rivista di settore l’amministratore delegato Fausto Ventriglia accusa i lavoratori di essere la causa della decisione di chiudere. Nell’intervista all’AD preme dire che il licenziamento dei lavoratori è solo frutto dei picchetti degli stessi davanti allo stabilimento, un presidio illegittimo che chiederà alle autorità di far cessare (chi glielo dice che per i presidi di lotta per il lavoro non si chiede il permesso di occupazione suolo?).
Alla domanda su cosa accadrà allo stabilimento di Pont, il Ventriglia dice che in Piemonte ha trovato un ambiente ostile, non solo in ambito sindacale, ma anche nelle istituzioni regionali che invece di essere neutrali stavano dalla parte dei lavoratori (guarda un po’). Aggiunge poi che la produzione di presse a Pont è antieconomica … (l’ha scoperto solo ora?) Lo stesso giornalista non può non fargli la domanda che in sostanza chiede cosa sia cambiato in soli tre anni e perché han comprato per smantellare quasi subito. E qui l’AD comincia a dire che pensavano che il marchio Sandretto tirasse di più … che si sono trovati macchinari obsoleti, … che per adeguarli avrebbero dovuto investire milioni, … A supporto di ciò a fine 2015 (dopo due anni dall’acquisto), hanno commissionato uno studio alla Ernst&Young per capire se vi era sostenibilità. Inutile dirvi che E&Y hanno disegnato un quadro nero: per rendere l’azienda sostenibile occorrerebbe un investimento di 15 milioni (debiti esclusi).
Ma queste analisi non si fanno prima di comprare? Non può non venire il dubbio che o come imprenditori lasciano molto a desiderare o che si sono fatti fare ora un bello studio da E&Y per avvalorare la loro decisione di chiudere?
L’AD ci tiene anche a contraddire i lavoratori che denunciano mensilità non pagate, Tfr non versato, contributi non arrivati, quote a Cometa non versate, … Ventriglia afferma invece di non avere debiti verso i dipendenti al momento della liquidazione: stipendi, tfr, regolarmente pagati, al contrario di quel che dicono i lavoratori … che si sa che oltre che sporchi e cattivi sono pure bugiardi.
L’azienda si presenta poco responsabile verso i lavoratori e le istituzioni
Il buon AD non manca infine di sferrare un attacco anche ai sindacati, alla Fiom diciamo meglio, perché non hanno accettato il ridimensionamento aziendale che avrebbe visto rientrare in azienda solo una parte dei lavoratori, nascondendosi dietro allo slogan “o tutti o nessuno”, perché i sindacati non erano interessati a salvare lo stabilimento, ma solo a rinnovare la cassa integrazione per tre anni, riesce ad affermare l’amministratore delegato Sandretto nonché membro del CdA della Photonike Capital.
E’ chiaro che con un interlocutore con questo profilo, il profilo del massimo profitto dovunque a qualunque costo, senza alcuna idea di responsabilità sociale, non si poteva giungere a nessun accordo alternativo per salvaguardare tutti i posti di lavoro rimasti. Considerando poi che quel “tutti” rivendicato da lavoratori e sindacato, non sono i 1000 che lavoravano nei tre stabilimenti del torinese, ma solo gli ultimi 124 rimasti.
Poco più di cento lavoratori che da oltre 100 giorni presidiano la loro fabbrica, ma oggi la stanchezza, e non parliamo solo di quella fisica, la delusione, fa vacillare la fiducia. Diciamocelo è proprio dura resistere di fronte a chi in assenza di leggi adeguate, può fare il bello e cattivo tempo in pieno cinismo imprenditoriale.
Ma a Pont ancora non si arrendono, sperano ora nel responso del Tribunale di Ivrea, sperano che non venga accettata la richiesta aziendale di concordato preventivo e che venga invece decretato il fallimento. In questo modo i beni aziendali verrebbero bloccati, non esce niente, e verrebbe nominato un curatore che potrà andare indietro fino a 24 mesi, per verificare eventuali mancanze della proprietà, ed anche fare esplorazioni per possibili manifestazioni di interesse, magari in un ambito diverso da quello di chi legge quell’intervista all’AD e che può credere che l’azienda sia veramente fallita per colpa dei lavoratori.
Cadigia Perini