La giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1977. Il 196° Presidio per la Pace di Ivrea è stato dedicato a questa giornata di solidarietà con un popolo che da sett’anni subisce l’occupazione illegale dei propri territori, politiche di apartheid fino al genocidio della popolazione di Gaza e della distruzione di campi, case e vite in Cisgiordania.
Introduce il Presidio Pierangelo Monti ricordando le parole del Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres per questa giornata: “prendiamo ispirazione dal popolo palestinese stesso, la cui resilienza e speranza sono testimonianza dello spirito umano. … si ponga fine all’occupazione illegale dei territori palestinesi, si compia un progresso irreversibile verso una soluzione a due Stati, in linea con il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite”. Guterres ha ricordato come oggi i palestinesi sopravvissuti stanno piangendo “la morte di decine di migliaia di amici e familiari”, di centinaia di operatori umanitari e di giornalisti, mentre “scuole, case e ospedali sono in rovina”.
Monti denuncia un’ondata di violenza senza precedenti messa in atto dall’esercito israeliano e dai coloni sta devastando la Cisgiordania, con una distruzione pianificata. In tutta la regione i palestinesi sono vittime di detenzioni arbitrarie, non possono muoversi, lavorare o andare a scuola. Assistono impotenti alla demolizione delle loro case e delle infrastrutture essenziali da cui dipendono. Le operazioni delle forze israeliane hanno anche danneggiato gravemente le infrastrutture idriche e sanitarie, privando decine di migliaia di persone dell’accesso all’acqua, aumentando il rischio di epidemie. Con la raccolta delle olive la violenza è stata più feroce. I coloni israeliani attaccano brutalmente i contadini, rubano i raccolti e sradicano gli alberi nel tentativo di rivendicare la terra e diffondere paura, al fine di allontanare i palestinesi residenti nella terra che è loro. Questo accade con sempre più crudeltà in tutta la Cisgiordania e noi ne abbiamo ricevuto testimonianze dirette da Beit Ummar.
Come ha scritto l’11 novembre Euro Med Human Rights Monitor: “Questo fa parte di una politica deliberata e sistematica che utilizza la violenza dei coloni per rafforzare il controllo israeliano, insieme alla rapida espansione degli insediamenti e all’espropriazione del territorio per imporre l’annessione di fatto e spostare i residenti palestinesi. … Mentre i coloni ricevono protezione legale e completa impunità, le autorità israeliane perseguono e arrestano i palestinesi che cercano di proteggere le loro proprietà e difendere la loro terra. La Corte di giustizia ha osservato che l’incapacità sistematica di Israele di prevenire o punire gli attacchi dei coloni contro la vita e la sicurezza fisica dei palestinesi, insieme al suo uso eccessivo della forza, viola chiaramente i suoi obblighi legali. La creazione di insediamenti nei territori palestinesi occupati costituisce una grave violazione del diritto umanitario internazionale. L’articolo 49 della quarta convenzione di Ginevra del 1949 vieta a una potenza occupante di trasferire parti della propria popolazione civile nel territorio che occupa o alterarne la composizione demografica o lo status giuridico. Le pratiche di Israele in Cisgiordania e a Gaza, rappresentano una continuazione di una politica coloniale che cerca di consolidare una realtà permanente di dominio razziale. Già la Corte di giustizia ha affermato l’illegittimità della continua occupazione israeliana e delle sue attività di insediamento. (…) Occorre esercitare pressioni reali su Israele affinché garantisca l’arresto completo della violenza dei coloni, disarmi le milizie dei coloni, fermi la costruzione e l’espansione degli insediamenti colonici”.
“La richiesta della libertà per la Palestina, la fine dell’occupazione e di ogni violenza e repressione è la prima forma di solidarietà che possiamo offrire al popolo Palestinese”, afferma Monti.
La violenza sulle donne
Quattro giorni fa era la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: Monti richiama l’attenzione sulle violenze subite dalle donne palestinesi. Un report di Oxfam denuncia “le drammatiche conseguenze del conflitto a Gaza nei confronti delle donne che rappresentano, insieme ai bambini, la maggioranza delle oltre 70mila vittime. I continui sfollamenti – che hanno riguardato il 90% della popolazione – e la distruzione di ospedali e infrastrutture essenziali hanno avuto infatti effetti drammatici in primis sulle donne, che sono state private di ogni servizio e assistenza per la maternità, esposte a continui traumi, fame e violenze di ogni sorta. Le donne palestinesi detenute sono state vittime di abusi sistematici, che secondo le indagini delle Nazioni Unite potrebbero costituire crimini di guerra e contro l’umanità. In Cisgiordania gli attacchi armati dei coloni, spesso sostenuti dalle forze israeliane, hanno portato a molestie sessuali, distruzione di abitazioni e scuole, costringendo le ragazze palestinesi a smettere di studiare, a subire aborti spontanei e traumi psicologici. In questo contesto, anche chi si batte per i loro diritti è vittima spesso di detenzioni arbitrarie e repressione, mentre la partecipazione delle donne alla vita pubblica e politica è pregiudicata dagli effetti dell’occupazione israeliana o da una visione patriarcale ancora persistente nella società palestinese”.
Campagna Internazionale per la Liberazione di Marwan Barghouti

Nella ricorrenza della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese prende avvio la Campagna Internazionale per la Liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri militari israeliane, tra cui minori, operatori sanitari, giornalisti, donne e persone con disabilità. Le Organizzazioni della società civile italiane che hanno aderito alla mobilitazione istituendo un Comitato Nazionale, invitano associazioni, reti e realtà locali ad aderire alla campagna e coordinarsi per promuovere iniziative territoriali a partire dal 29 novembre e durante tutto il periodo della campagna. La liberazione di Marwan Barghouti e dei prigionieri palestinesi rappresenta un passo essenziale verso un percorso di giustizia, pace e libertà.
Monti propone l’adesione del Presidio per la Pace di Ivrea e delle nostre organizzazioni a questa campagna, con l’invio di una lettera al governo italiano e all’ambasciata israeliana con richiesta della liberazione di Marwan Barghouti e dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane senza neppure un processo e senza la tutela dei diritti dei detenuti, come prescrivono la Terza e la Quarta Convenzione di Ginevra (1949). La proposta viene accettata da tutti i presenti.
Un aiuto per la Palestina
Segue la lettura di Letizia Carluccio di parole di speranza che arrivano da uomini, donne, giovani e bambini, dalle famiglie di Gaza con è in contatto con l’associazione “Un aiuto per la Palestina.
«La nostra storia è lunga, piena di perdite, paura e momenti di silenziosa resistenza. La guerra alla fine si è fermata, ma quando il fumo si è diradato, non c’era più una casa: solo una tenda in piedi nel vento freddo. Ora, con l’avvicinarsi dell’inverno, guardo Maryam mia figlia di solo 1 anno e temo le notti a venire. Ha bisogno di vestiti caldi, latte e sicurezza. Mio marito ha ancora bisogno di cure per la ferita, e io, sebbene distrutta, mi aggrappo a un piccolo barlume di speranza: che un giorno ricostruiremo ciò che Israele ha cercato di cancellare. Abbiamo perso tutto… tranne l’amore. E in questo mondo di rovine, l’amore è l’unica cosa che ci tiene in vita. Quando la sopravvivenza diventa un altro tipo di morte. Ogni notte che viviamo arriva dopo una giornata lunga ed estenuante: lavarsi con la sabbia, accendere fuochi per cucinare cibo in scatola perché il cibo fresco è ancora difficile da comprare, camminare per lunghe distanze solo per trovare acqua e lottare per le infinite faccende quotidiane. Ed il giorno dopo si ricomincia da capo».
«Le guerre scavano ferite profonde e per guarirle non bastano le parole serve un supporto continuo e concreto: dopo l’assedio Gaza reclama qualcosa di più del silenzio delle armi, ha bisogno di coraggio, idee e azioni per ristabilire la dignità e un senso di futuro: il cessate il fuoco non è un traguardo. Segna l’inizio di una battaglia più difficile contro l’angoscia, la memoria e il dolore che rifiuta di scomparire. Vi scrivo e vi imploro: se il mondo non agirà con fermezza, la vita per noi palestinesi sarà impossibile: ricostruire comunità e abitudini e un po’ di normalità sarà un processo lento e difficile che però è necessaria se vogliamo andare avanti. Il futuro esigerà da noi tutto quello che ci rimane: la perseveranza, la resistenza una speranza tenace e la determinazione a restare in piedi”.»
Cadigia Perini interviene sul gravissimo caso dell’arresto e mandato di espulsione di Mohamed Shahin, Imam della moschea Omar Ibn Al Khattab di San Salvario a Torino.
NON SI ARRESTA IL LIBERO DISSENSO. SUBITO LIBERO MOHAMED SHAHIN perché possa tornare al suo lavoro di costruttore di pace e dialogo.
È in corso nel nostro paese una stretta repressiva nei confronti di chi liberamente esprime il proprio pensiero contro il genocidio in corso a Gaza e contro l’oppressione colonialista israeliana verso la popolazione palestinese in Cisgiordania. Ogni critica al governo israeliano la si vuole marchiare come “antisemitismo” (ci sta provando il senatore Gasparri con un disegno di legge che rischia di creare una pericolosa sovrapposizione fra antisemitismo e forme di legittima critica allo Stato di Israele e le sue politiche, come quelle diffuse e pacifiche che animano i luoghi della conoscenza e le piazze dell’intero Paese).
In questo quadro repressivo e intimidatorio si colloca il gravissimo caso dell’arresto di Mohamed Shahin, Imam della moschea Omar Ibn Al Khattab di San Salvario a Torino.
Shahin è stato fermato a Torino il 25 novembre e poi subito trasferito al CPR di Caltanissetta, allontanandolo dalla sua famiglia, moglie e due figli minorenni nati Italia (che non hanno nemmeno potuto salutarlo), e dalla sua comunità, come fosse un pericoloso terrorista macchiatosi di gravi reati.
La colpa di Mohamed Shahin invece sarebbe quella di aver definito l’attacco di Hamas del 7 ottobre “una reazione ad anni di oppressione”. Se questa motivazione fosse confermata, saremmo di fronte a una vera e propria punizione per un reato d’opinione, non certo per una minaccia alla sicurezza.
Ma tanto è bastato al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, dopo l’interrogazione della deputata torinese di Fratelli d’Italia, Augusta Montaruli, per disporne l’arresto e il trasferimento nel CPR di Caltanisetta, più lontano di così non poteva, in attesa del successivo rimpatrio in Egitto.
Mohamed Shahin è un dissidente del regime di Al-Sisi per questo ha presentato richiesta di asilo in Italia. La sua espulsione lo esporrebbe al rischio concreto di torture e perfino della pena di morte.
«L’eventuale rimpatrio significherebbe una morte certa», dichiarano i suoi avvocati. Ieri nell’udienza convalida del trattenimento nel centro di rimpatrio Shahin ha precisato che con la sua affermazione voleva intendere che «anche il popolo palestinese dovrebbe avere una propria sovranità – ed ha aggiunto – Non sostengo Hamas e non sono una persona che incita alla violenza.»
Il provvedimento del ministero ha innescato un’ampia mobilitazione a Torino e in tutta Italia, di gruppi della società civile, di associazioni come l’Anpi, l’Arci, la Cgil, alcune forze politiche di opposizione dentro e fuori il Parlamento. La richiesta di rilascio di Shahid arriva anche da esponenti della Rete torinese del dialogo cristiano-islamico che in una lettera al Presidente della Repubblica esprimono il loro stupore e condanna per l’arresto di un uomo fortemente impegnato con la sua comunità nel dialogo interreligioso e con le istituzioni.
Comunità impegnate a contrastare ogni forma di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo, islamofobia e xenofobia, nella convinzione che occorra porre sempre in atto ogni tentativo per giungere a una soluzione pacifica dei conflitti che insanguinano il mondo.
Nonostante le tantissime testimonianze, lo Stato non corregge la palese violazione dello spirito e della lettera della Costituzione Italiana.
È notizia di ieri è che la Corte d’appello di Torino ha confermato il trattenimento di Shahin nel Cpr di Caltanisetta respingendo le obiezioni della difesa e validando il provvedimento di espulsione disposto dal Ministero dell’Interno per motivi di sicurezza dello Stato. E la commissione territoriale di Siracusa ha respinto la richiesta di asilo. E’ in corso il ricorso. Attendiamo continuando a manifestare per la libertà di Shahin e il suo ritorno alla sua famiglia.
La città gemella di Beit Ummar
La vicesindaca di Ivrea Patrizia Dal Santo fa il punto su Beit Ummar e sul progetto in atto a sostegno della cittadina palestinese gemellata con Ivrea dal 2003. Il gemellaggio è stato ripreso un anno fa con un impegno rinnovato, a motivo della peggiorata condizione della occupazione israeliana su tutta la Cisgiordania. E’ stata avviata la campagna di solidarietà “Un ponte con Beit Ummar” per cui, d’accordo con la municipalità di Beit Ummar e con l’ONG “Vento di terra” che fa da tramite, l’amministrazione comunale ha deciso di contribuire alla costruzione di una cisterna per la riserva idrica, per far fronte alla carenza d’acqua causata dal controllo israeliano delle risorse idriche. Il Comune si è rivolto alla cittadinanza, ottenendo una buona risposta: spettacoli, vendita di libri per bambini e offerte di singole persone hanno permesso di raccogliere più di 12.000 euro per il materiale di costruzione della cisterna e 1.000 per attività dirette all’infanzia. I lavori dovrebbero concludersi nella prossima primavera.
La situazione a Beit Ummar va sempre peggio: nelle ultime settimane le forze armate israeliane sono entrate di giorno e di notte nelle case palestinesi distruggendo, arrestando persone di ogni età e anche uccidendo 4 giovani, mentre i coloni israeliani hanno incendiato le coltivazioni dei palestinesi. Dal Santo comunica che l’Amministrazione eporediese ha inviato lettere di protesta al Presidente della Repubblica, alla Presidente del Consiglio, al Ministro degli esteri e all’Ambasciata israeliana, e una lettera di cordoglio all’amministrazione di Beit Ummar.
Musica, poesie, testimonianze
Gli interventi sono stati alternati da letture di poesie, testimonianze e dalle canzoni di Simone Luca Barbero, giovane e bravissimo cantautore quattordicentte, “Non sono un eroe” e “La vita protesta”. Simone ha partecipato per due anni al laboratorio “Peace Generation“, un progetto di songwriting è organizzato da Emergency Canavese in collaborazione con l’associazione culturale Fabrika e con il contributo dell’assessorato alle politiche sociali del Comune di Ivrea, con lo scopo di avvicinare i giovani a esprimersi sul tema della pace attraverso la scrittura di canzoni. Ha aderito e regalato le sue canzoni al presidio anche il noto e stimato cantautore eporediese Fabrizio Zanotti.




