«Rompere le scatole» è la ricetta di Elena Granata anche per il futuro di Ivrea

Invitata da Laboratorio Civico, la docente di Urbanistica al Politecnico di Milano avvia una necessaria riflessione sulla città e sul futuro del sito Unesco

Sala affollata sabato mattina [16 marzo n.d.r.] al Museo Teconologic@mente di via Di Vittorio che ospita l’incontro organizzato da Laboratorio Civico Ivrea “PLACEMAKING IVREA.Riflessione sul futuro del sito Unesco con Elena Granata”.
Con l’autrice del libro “Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo”, ci sono Paolo Galuzzi docente di Progettazione Urbanistica alla Sapienza di Roma), il Sindaco di Ivrea, Matteo Chiantore, Filippo Ghisi (site manger Unesco Ivrea), coordinati dall’architetto Enrico Giacopelli (di Laboratorio Civico).
A spiegare la P che occupa la copertina del libro di Granata, c’è la didascalia: “P come Placemaker. Dal politico-pedagogista, all’imprenditore-artista, dall’informatico-ambientalista all’architetto-giardiniere: gli innovatori dirompenti per pensare la nuova città”. E certamente meglio la spiega la stessa Granata che racconta le “parabole dell’architettura” che costellano il suo libro, utilizzando le città in cui si è trovata nel corso della settimana. A Trieste, per il centenario di Basaglia, «un medico che rompe una “scatola”, l’istituzione manicomio», a Padova, dove un «Centro di prima accoglienza è anche un hotel, un ristorante e centro civico», a Milano «alla scuola edile per ricordare Maria Montessori, una donna che indicò nel rapporto tra scolari il mutuo e reciproco apprendimento, con l’insegnante come osservatore e custode», a Napoli «dove un prete del rione Sanità guardando le catacombe si inventò un’attrazione turistica che è oggi il secondo posto più visitato della città».
«Tutte persone – aggiunge Granata – che non avevano un ruolo politico, ma hanno “rotto le scatole”, cioè tutti quei “silos”, contenitori di specifiche attività che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli». Contenitori spesso ora vuoti il cui futuro possibile è oggi quello di diventare «ibridi, luoghi di nuove relazioni, pena il deperimento».
Placemaker che, nei progetti di rigenerazione e di cura, sostiene Galuzzi, «non sono solo persone, ma anche quei gruppi, quei “corpi intermedi” che hanno fatto grande questo Paese».
Tornando a Ivrea, segnata da indubbi “placemaker” quali sono stati gli Olivetti, Granata ha presente quanto siano stati determinanti per la città, ma avverte come «l’eredità di carismatici possa essere nel contempo anche la più grande sciagura, perché quella storia straordinaria condiziona, lascia meno spazio. Paradossalmente è più facile dove c’è terra vergine, tabula rasa».
«Una mattinata motivazionale» per il Sindaco di Ivrea, che ringrazia Laboratorio Civico per l’organizzazione di questo incontro e «perché fa da tempo dialogare la politica con la città». Un tema, quello di «immaginarsi la città del domani – aggiunge Chiantore – sul quale siamo impegnati perché si tratta di unire, con la necessaria flessibilità ben tre città: quella romana, quella medievale e quella industriale, diventata patrimonio Unesco».
«Discontinuità con la propria storia» è l’indicazione di Paolo Galuzzi (che conosce bene Ivrea in quanto partecipante alla redazione del Piano Regolatore del 2000, quello di Campos Venuti) e, citando Italo Calvino, parla di necessità di un «rapporto conflittuale delle città con il loro passato prossimo», aggiungendo che «”Genius non est loci”, cioè che le proposte migliori possono venire da chi non è del luogo e non ne è condizionato» dalla storia e dalla cultura.
«Ci vogliono i “barbari” – aggiunge Granatapersone non del luogo per svegliare “la bella addormentata” che è la città. E le città, se si smonta la narrazione del “secolo urbano”, sono per lo più quelle di medie e piccole dimensioni (che devono però essere facilmente collegate) con due temi al centro: cura e clima. O, meglio, con il tema della cura della persona e dell’ambiente».
Una trovata per gli spazi vuoti della città industriale, la butta lì Elena Granata, una proposta che arriva da suoi studenti, da “barbari”: il “fitotrone” [apparecchio in cui si riproducono artificialmente diversi climi per la sperimentazione delle piante n.d.r.] che potrebbe servire alla «produzione di erbe medicinali per l’industria farmaceutica».
Si tratta ovviamente di poco più di una provocazione, ma resta centrale «la cura per la città futura (che non cresce)», dice ancora Granata, che nota «la parentela nella radice delle parole cura e curiosità e dei loro contrari: incuria e incuriosità» per ribadire l’indicazione di guardare alla storia con cura e al futuro con la curiosità dei giovani.
Un incontro certamente utile per ragionare sul futuro della città, oltre che sulla funzione del sito Unesco, dal quale, come rileva Giacopelli in conclusione, arrivano almeno tre indicazioni: aumentare attrattività del territorio, rompere col passato prossimo, avere una visione trasgressiva.
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