Il 20 e 21 settembre siamo chiamati al voto per il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Un taglio fortemente voluto dall’ultimo M5S ma votato alla sua quarta lettura da tutto il Parlamento (553 favorevoli, 14 contrari), ma che oggi desta qualche preoccupazione anche fra le fila di chi ha approvato la legge.
Dopo quello del 2016 dove vinse il NO che respinse la riforma renziana, ci troviamo di fronte ad un nuovo referendum costituzionale. Questa volta la modifica riguarda il taglio del numero di parlamentari (in fondo si può definire un frammento della riforma del 2016). Il quesito che troveremo sulla scheda azzurra sarà: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?»
Cosa prevede la legge oggetto di referendum?
La legge 240 è composta sostanzialmente di soli 3 articoli (il quarto riguarda la decorrenza delle disposizioni) e un unico obiettivo: il taglio secco di deputati e senatori (-36,5%).
Se vinceranno i sì dalla prossima legislatura avremo la riduzione del numero dei seggi della Camera da 630 a 400 e al Senato da 315 a 200. Una riduzione di 345 seggi, più di un terzo del numero attuale. Sempre se vincerà il sì aumenterà il numero di abitanti rappresentati da un singolo parlamentare: per ciascun deputato si passa dagli attuali 96.006 a 151.210 abitanti e per ciascun senatore da 188.424 a 302.420 abitanti.
Cosa avevano previsto i costituenti?
I padri e le madri costituenti avevano fissato in Costituzione un rapporto di un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazioni superiori a 40.000) e un senatore ogni 200.000 (o frazioni superiori a 100.000). Successivamente con la legge costituzionale n. 2 del 9 febbraio 1963, si modificò quel numero variabile nel numero fisso di 630 deputati e 315 senatori. Se con il numero definito nel 1963 eravamo nella media europea, dopo il taglio confrontando le camere basse (camera dei deputati) degli altri paesi europei (le uniche confrontabili), finiremo al fondo della classifica dei paesi dell’Europa a 28.
Le conseguenze di un taglio netto e profondo senza correttivi. Tante le voci di dissenso.
Il taglio di più di un terzo dei parlamentari senza bilanciamenti creerà diverse diseguaglianze: nei territori che saranno sotto-rappresentati, nei confronti delle forze politiche minori, dei giovani e delle donne. “Chiederemo dei contrappesi”, dissero dal PD in cambio del voto favorevole nella quarta lettura della legge (nelle precedenti tre letture votarono contro). Le condizioni poste dai dem erano principalmente: una nuova la legge elettorale, la fiducia costruttiva, la riforma regolamenti parlamentari. La legge è stata approvata, ma tutti i “contrappesi” sono rimasti lettera morta. Per questo vi è disagio e disappunto in diversi esponenti del Partito Democratico e non pochi si stanno esprimendo per il NO. «Senza una riforma istituzionale e elettorale, dimezzare i parlamentari può essere perfino pericoloso per il regime democratico.» disse qualche settimana fa Goffredo Bettini, esponente di punta PD romano, già dirigente storico del PCI, ex senatore ed eurodeputato. Persino il segretario Zingaretti ha ammesso «il taglio dei parlamentari senza il correttivo di una nuova legge elettorale è un pericolo democratico e una porta spalancata all’antiparlamentarismo populista». Anche se poi la Direzione Nazionale del 7 settembre ha approvato a larghissima maggioranza la relazione del segretario nazionale in cui si chiedeva di sostenere il Sì al referendum sul taglio dei parlamentari (niente libertà di coscienza). In tanti però fra gli organismi e gli attivisti locali non ci stanno. Diversi amministratori, quelli che lavorano nei territori, si stanno esprimendo a favore del NO. Anche nel PD di Ivrea a partire dal suo segretario Luca Spitale e dai consiglieri comunali si alzano voci di dissenso e dichiarazioni di voto per il NO. I dem locali riconoscono che “anche il nostro territorio potrebbe perdere la possibilità di venir rappresentato in Parlamento“. La stessa preoccupazione e dichiarazione di voto per il NO la esprime Franco Giorgio, segretario della sezione di Ivrea e Canavese di Art. 1 Mdp: «Voto NO anche perché non ho dimenticato né l’origine di questa riforma né come è stata festeggiata dai grillini, che esposero, davanti al Parlamento, uno striscione con tante poltrone e loro con una grossa forbice tagliavano i seggi. Dunque i seggi sono solo poltrone, i parlamentari “poltronisti”, il Parlamento solo un costo da tagliare. È una iniziativa che ha un evidente carattere anti-Parlamentare.»
C’è chi dice NO anche nel M5S
Anche nel Movimento 5 Stelle emergono posizioni in dissenso, con alcuni parlamentari schierati apertamente a favore del NO. «Questa riforma non migliorerà l’efficienza del Parlamento, non porterà risparmi rilevanti, e comporta una serie di criticità sia nelle circoscrizioni nazionali che nella circoscrizione estero” – scrive in un post la deputata del M5S Elisa Siragusa e aggiunge – Questa riforma è scritta male. La dimostrazione è la distorsione che si viene a creare in Senato nel rappresentare gli elettori delle varie regioni d’Italia. La riforma del sottosegretario Fraccaro (eletto nella circoscrizione Trentino-Alto Adige) regala al Trentino, infatti, una rappresentanza in Senato maggiore rispetto a regioni con un numero più alto di abitanti.» Dello stesso avviso la collega Mara Lapia eletta in Sardegna «Il taglio dei parlamentari la considero oggi una scelta non corretta. Innanzi tutto perché il M5S non aveva mai parlato prima del taglio dei parlamentari, noi abbiamo sempre parlato del taglio degli stipendi, che è un’altra cosa. Da giurista poi dico che è un taglio alla rappresentanza, con Regioni che saranno fortemente penalizzate. Una riforma realizzata senza motivazioni strutturate. Decida il popolo italiano, ragionando però. Questo paese ha bisogno di leggi ben più importanti di leggi slogan.»
Una legge populista?
La scelta del taglio netto è dettata dalla volontà di raccogliere un facile consenso dovuto al bassissimo gradimento popolare verso i politici. E non importa che con la legge 240 viene tagliato il Parlamento ma per nulla i privilegi. Rimarranno infatti immutati gli emolumenti, le indennità e i privilegi dei parlamentari. Ridurre queste voci e i costi dei ministeri, avrebbe generato risparmi ben più alti (per non parlare del risparmio stellare che si avrebbe nel tagliare anche solo di pochi punti percentuali le spese militari). Eppure anche sul risparmio si è giocata la partita populista. Il vero risparmio netto è quasi la metà di quello annunciato dai sostenitori del sì. Non 500 milioni, ma esattamente 285 milioni di euro per legislatura, pari a 57 milioni all’anno (fonte Osservatori sui conti pubblici). Si tratta dello 0,007% della spesa pubblica l’equivalente di un caffè (0,95 centesimi) all’anno per ognuno di noi. Il Parlamento vale davvero così poco? Senza considerare che il taglio dei parlamentari senza una legge proporzionale pure invece di colpire la “casta” la rafforzerà. Si favorirà quella classe politica di lungo corso che viene rieletta con qualsiasi legge elettorale perché imposta dalle segreterie dei partiti che non sempre fanno scelte basate sulle competenze utilizzando criteri valoriali, una classe influente con disponibilità economiche e relazioni giuste. «Se restringiamo il numero dei seggi per cui competere, più la competizione avrà bisogno di maggiori risorse economiche. Insomma ci sarà la formazione di un gruppo che ha un privilegio superiore. Paradossalmente, se noi vogliamo costruire una casta, questa è la direzione giusta.», afferma in un’intervista Nadia Urbinati, docente di teoria politica.
Effetto negativo del taglio su minoranze, giovani e donne
Il taglio dei parlamentari penalizzerà senza dubbio il pluralismo. Solo i grandi partiti riusciranno a entrare in Parlamento, soltanto i cittadini che votano questi partiti potranno veder rappresentate in Parlamento le proprie istanze e valori.
E ancora, con il taglio si avranno effetti negativi sulla rappresentanza politica dei giovani e delle donne. «Con il taglio dei parlamentari la selezione delle candidature da parte delle dirigenze dei partiti o degli stessi leader (già oggi fortemente guidata non sempre da criteri di competenza ma piuttosto da quelli di fedeltà) sarebbe ancor più determinata da considerazioni non valoriali. – si legge nel “Manifesto del Comitato delle donne per il No al referendum”, firmato da più di 200 donne impegnate in professioni diverse – La mancanza di riforma elettorale e di una legge sulla democrazia interna dei partiti (…) si accentua il potere dei capi partito e l’importanza dei finanziamenti delle lobbies. Le donne sono ancora marginalizzate nei luoghi decisionali politici ed economici, quindi avranno minori chance di essere elette. Mutando il rapporto con l’elettorato, e dunque con i territori (…) muta il rapporto di rappresentanza e affievolisce il legame con i territori, penalizzando ad esempio le esperienze delle donne come amministratrici locali. I dati sulle competizioni elettorali mostrano minore visibilità delle donne nei media e nelle tribune politiche. Risulterà ancora più esigua le possibilità di accesso ai media (che è decisa dai capi partito) e quindi di essere elette.»
Allo stesso modo verranno penalizzati i giovani, come sottolineano i ragazzi di “NOstra – Comitato giovanile del No al referendum costituzionale”, appartenenti alla giovanile del PD e di altri partiti (destra esclusa) e ad associazioni e movimenti: «Un ulteriore indebolimento degli strumenti di democrazia e rappresentanza rischia di accentuare il carattere elitario dell’attuale assetto dei poteri, con conseguente accentuazione dell’inquietante fenomeno della tecnicizzazione della decisione collettiva. Sono principalmente le nuove generazioni a correre il rischio di ritrovarsi senza colpo ferire in quella che qualcuno ha definito postdemocrazia, un nuovo stadio della vicenda sociale dove la prassi politica non sarà interpretata ma soltanto subita dalla cittadinanza.»
Il sì gioca sull’antipolitica diffusa
Il sì ha vita facile perché punta sull’emotività, sull’antipolitica generalizzata. La politica, o meglio i politici, non sono mai stati così in basso nel gradimento della popolazione. Le ragioni della scontentezza verso la classe dirigente politica dominante ci sono tutte, ma anziché intraprendere il lungo lavoro di riforma culturale e sociale dei partiti, di ritorno ad una legge elettorale dove i cittadini possano scegliere i propri eletti e non siano costretti a votare un pacchetto chiuso scelto dalle segreterie dei partiti, una legge elettorale proporzionale pura dove ogni voto vale uno, sia quello dato al partito in cima ai sondaggi sia quello dato a un partito di minoranza, e nessun voto sia disperso, si sta andando verso la facile strada del taglio netto per accogliere il facile consenso della popolazione scontenta.
Le ragioni del NO
Le ragioni sono ben sintetizzate nel primo punto del documento sottoscritto da più di 200 costituzionalisti che recita “La riforma svilisce, innanzitutto, il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano dell’efficienza delle istituzioni democratiche né su quello del risparmio della spesa pubblica.”
Le ragioni del NO sono sostenute a livello nazionale e locale fra gli altri da: ANPI, ARCI, Laboratorio Civico Ivrea, PRC-SE, Potere al Popolo, Sinistra Italiana, Costituzionalisti, Sardine, Donne per il NO, NOstra – Comitato giovanile per il NO, 100 NO.
Cadigia Perini