Di ritorno da Roma, il resconto di una giornata fondamentale per la partecipazione del paese e per costruire l’opposizione sociale
La tanto attesa giornata della manifestazione La via maestra è finalmente arrivata, dopo avere escogitato tutta la nostra inventiva per convincere le persone a noi vicine a partecipare, rischiando amicizie a causa dell’ insistenza, che non è mai una buona carta da giocare. Così, nella notte che la precede, ci troviamo a sistemarci nei nostri sedili dei pullman che, per una misteriosa legge fisica che non si spiega, ad ogni viaggio diventano sempre più ostili nei confronti di schiene ed articolazioni varie. Ma basta non dargli troppo peso ed anche questo diventerà un momento importante per chi si oppone a questa fase caratterizzata da crisi economiche, da cambiamento climatico e da una rivincita della guerra sulla pace.
Chi scende per l’ennesima volta a Roma si ricorda di come tantissimi anni fa in ogni autogrill si contavano i pullman di partecipanti e si leggevano i cartelli incollati ai vetri: Reggio 14, Modena 10, Bologna 20, che erano la rappresentazione numerica di una adesione molto ampia, che a volte provocava addirittura un po’ di invidia in noi, sempre alla spasmodica conquista di un numero un po’ più grande di 1, a Ivrea e nelle nostre zone. Così ieri abbiamo scrutato le ben note aree di servizio di Fiorenzuola, Cantagallo, Fabro e con grande sorpresa in ognuna abbiamo visto fin dal mattino delle macchie rosse di persone che come noi scendevano a manifestare. Nessuna nostalgìa, s’intende, ma semmai la speranza che le lotte cui noi non possiamo rinunciare possano entrare nell’orizzonte di persone che ora vivono in una bolla di inconsapevolezza o, peggio, di rassegnazione.
Giunti alla stazione metro la ressa induce il personale ATAC ad aprire i varchi senza il biglietto, e questo gesto rafforza l’ottimismo. Come ogni volta è davvero emozionante sbucare dal sottosuolo delle fermate e vedere il luogo di partenza pieno della nostra comune idea di società e di appartenenza a qualcosa di molto più vivificante che non il piccolo campanilismo o lo spirito di gruppo che così tanti guai hanno combinato e continuano a produrre. Qui viene da dire Prima l’umanità e la solidarietà, proponendo un’ idea di società che non potrà che rafforzare il cosmopolitismo dei Diritti che sono eguali per tutti e per tutte.
Ogni corteo, visto dalle fotografie, è uguale all’altro. Ma per fortuna non è affatto così: il clima, le emozioni, la rabbia di ogni protesta portano un risultato diverso fra i partecipanti, insegnano modi diversi, se non nuovi, di rapportarsi con la realtà, perché sia alzando cartelli, sia urlando slogan, o anche tacendo, lasciando che sia la fisicità del proprio corpo a dare un senso alle nostre presenze, l’insieme di tutto questo ed altro ancora lascia un’impronta diversa su di noi.
La difficoltà di entrare a Piazza San Giovanni, verrebbe da dire piena di colori, ma sarebbe difficile confutare la predominanza del rosso su zainetti, maglie, bandiere, striscioni e perfino palloncini o palloncioni che ci guardano dall’alto e poi porteranno in alto le nostre richieste.
Sul palco lontanissimo, che vediamo solo grazie al megaschermo, si alternano molti oratori ed oratrici a portare i saluti di parte delle duecento Associazioni che hanno organizzato insieme alla CGIL questa giornata. Il nostro arrivo in piazza precede di poco l’intervento del Segretario della CGIL Maurizio Landini, che esordisce esprimendo “emozione e felicità”, usa proprio questi termini, per condividere i sentimenti che prova a vedere dal palco “tutte queste persone”.
In tre quarti d’ora passa in rassegna, per denunciarli e per formulare proposte, i grandi temi che riguardano sia il mondo del lavoro sia l’intera società, dove il filo rosso che lega gli argomenti sono due parole: “noi” e “insieme”.
Scorrono così nelle nostre orecchie tutti i temi che singolarmente ognuno di noi vive sulla propria pelle: la volontà di tenere insieme questo Paese, la consapevolezza che bisogna combattere la rassegnazione, perché se è vero che abbiamo i Diritti, abbiamo anche dei Doveri, e uno di questi è quello di pensare che le cose si possono cambiare, e che siamo qui oggi proprio per questo, e non solo per protestare.
Torna spesso sul valore della solidarietà, radice del Sindacato, e ci invita a pensare che la vera solidarietà non è quella fra eguali, ma è quella di chi sta meglio e si batte per chi sta peggio. E poi indica fra i “veri nemici” quelli che ci sfruttano, chi deve cambiare le leggi e non lo fa, e questo Governo, che dopo un anno va nella direzione di manomettere la Costituzione, con l’autonomia differenziata, con la reintroduzione dei voucher, la liberalizzazione dei contratti a termine dei subappalti, che, lo dico in Italiano, è una porcheria.
Sui salari dice che aumentarli significa rinnovare i contratti, ma aggiunge che bisogna introdurre un salario minimo per legge, sotto il quale nessun lavoratore può essere pagato. Cita i temi dei femminicidi (un problema degli uomini), delle morti sul lavoro (non sono accettabili 80 morti al mese), dell’evasione fiscale (i soldi bisogna andare a prenderli lì, sono 110 miliardi). Infine si sofferma sulla crisi della Democrazia di cui il segno più evidente è il fatto che il 50% degli Italiani non va più a votare. Agire sulla rappresentanza è un dovere impellente non solo per i Partiti, ma anche per il Sindacato, perché sente forte la responsabilità di non essere in grado di trasmettere alle nuove generazioni gli stessi diritti che la nostra generazione ha avuto dai nostri nonni e genitori.
In conclusione, con molta commozione cita Stefano Rodotà e Lorenza Carlassare “che ci hanno insegnato le loro idee, cui non hanno mai rinunciato”. Di Rodotà spiega che aveva teorizzato “che ci sono due modelli di società diverse: quello che vuol seguire ed attuare la Costituzione che è fondata sulla Democrazia. E poi c’è il secondo modello, di tutti quelli che vogliono cambiarla perché hanno in testa un modello autoritario che pensano che basti l’uomo della provvidenza e tutti i problemi sono risolti. Siamo qui per dare seguito al primo modello, che venne tenuto a battesimo l’8 settembre 2013 proprio in un documento dal titolo La via maestra”. Chiude con la doppia affermazione “questa manifestazione è solo l’inizio” e poi sillaba due volte di seguito ”noi-non-ci-fer-me-re-mo”.
In piazza continuano ad arrivare insieme uomini, donne di ogni età, giovani e pensionati che qualcuno cerca sempre di contrapporre per rinfocolare l’eterna guerra fra generazioni che oggi è, come non mai, una guerra fra poveri, che tanto fa bene a chi governa.
Una ragazza giovanissima di Reggio Emilia porta con ironia il cartoncino che spiega che “siamo talmente poveri che non possiamo permettersi nemmeno un cartello”. La ringraziamo perché saranno indubitabilmente poveri di soldi, ma quanta ricchezza di umanità e di consapevolezza civile e sociale ci hanno portato in questo pomeriggio!
Veniamo via dalla piazza con il magone per le immagini e le notizie che vediamo sui nostri smartphone delle morti di Palestinesi ed Israeliani, l’ennesima guerra annunciata. Incomprensioni, errori, diseguaglianze, apartheid, strumentalizzazioni e odio che si sono sviluppati su quell’infelice territorio non potevano che scoppiare prima o poi in un’ altra guerra guerreggiata, che si aggiunge a quella continua e latente mai dichiarata cui nessuno, dall’ONU in giù, ha mai cercato seriamente di porre rimedio e fine.
Non dormiremo sul pullman, cercando conferme e smentite, qualcosa di concreto che dia un segno di speranza a questo contrasto. Non lo abbiamo trovato, ma anche sul contrasto alle guerre noi non ci fermeremo. Da domani, anzi, da oggi, perché la notte sta volgendo già al mattino quando arriviamo a casa.
Luciano Guala
(di ritorno da Roma, 7 ottobre 2023)