Tante persone, prima che l’emergenza scoppiasse, facevano affidamento ad operatori sociali, volontari o enti di promozione sociale per veder soddisfatti i loro bisogni. E adesso? L’appello di Emiliano Ricci (Caritas Ivrea): «la nostra emergenza sono le mascherine»
È oramai trascorsa una settimana da quando l’emergenza coronavirus ha costretto la maggior parte di noi a #restareacasa. Le decisioni del governo italiano unite da un senso di responsabilità collettiva (imperfetto, certo, ma decisamente maggioritaria) hanno decretato l’inizio di un percorso che, volenti o nolenti, ci accompagnerà per diverso tempo a venire.
È infatti difficile pensare che il 3 aprile tutto possa tornare alla normalità e non c’è modo di prevedere come si evolverà la situazione: navighiamo a vista, ponderando scelte difficili e spesso in contrasto con i nostri stili di vita e per la prima volta ci troviamo a scoprire che esistono tanti modi di stare da soli: si passa il tempo a leggere le notizie, a cucinare, a telefonare agli amici e ai parenti o a sperimentare nuovi strumenti di comunicazione (come le video-chiamate di gruppo). Si ascolta musica, si suona musica (possibilmente dai balconi!), si chiacchiera col vicino attraverso le finestre e si programma l’elenco delle cose da fare quando tutto questo passerà.
Esiste, tuttavia, un’altra forma di solitudine, più pericolosa ed endemica di quella che ci troviamo ad affrontare: la solitudine sociale.
Nei dieci anni trascorsi tra il 2008 e il 2018, infatti, gli italiani che non fanno pasti adeguati, non riescono a scaldarsi d’inverno e hanno problemi ad acquistare vestiti (la definizione ISTAT di “povertà assoluta“) sono passati da 2,5 a 5 milioni. Sul nostro territorio, in particolare nel bacino di utenze che si appoggiano ai servizi del Consorzio In.Re.Te, il numero di persone che annualmente fa richiesta di assistenza economica si è pressoché stabilizzato intorno alle 1.200 persone). A questi numeri se ne dovrebbero aggiungere tanti altri: minori non accompagnati, disabili, anziani nella condizione di non potersi muovere di casa, persone con problemi psicologici o psichiatrici e senzatetto. Numeri difficili da quantificare, ma che prima che l’emergenza scoppiasse potevano contare, se non altro, sull’appoggio e sul sostegno di associazioni di volontariato, istituzioni, operatori socio sanitari, operatori sociali ed enti di promozione sociale.
Se questa rete sociale viene meno e diventa impossibile per molti operatori e volontari portare un sostegno, un abbraccio, un aiuto mirato all’interno delle abitazioni, come fare per impedire che il #restiamoacasa si trasformi, per alcuni, in solitudine sociale?
La Caritas d’Ivrea: siamo quasi completamente fermi, ma c’è tanta voglia di aiutare
«Abbiamo dovuto chiudere tutti i servizi, con eccezione della distribuzione alimentare» ci racconta Emiliano Ricci, direttore della Caritas d’Ivrea. «L’ascolto, il pagamento delle bollette, il modesto aiuto economico che potevamo offrire e la mensa sono tutti servizi sospesi» prosegue a malincuore il direttore. Sul servizio mensa, inoltre, la scelta è stata praticamente obbligata, non avendo più la possibilità di ritirare il cibo che veniva offerto dalle scuole (chiuse per prime), dai ristoranti (come Cibò) o dalle varie mense sulle quali la Caritas faceva affidamento per mantenere la gratuità del servizio. Consci del momento difficile, tuttavia, i pochi volontari ancora operativi («molti dei quali ultraottantenni» ci tiene a sottolineare Ricci «e quindi, anche loro da tutelare») continuano a distribuire due volte al mese prodotti a lunga conservazione alle famiglie più bisognose. Anche i prodotti freschi continuano ad essere distribuiti (sempre con duplice cadenza ogni mese), se pur solo a quelle 140 famiglie in condizione di estrema povertà (con redditi annuali inferiori ai 3.000€). La distribuzione viene effettuata rigorosamente sulla porta d’ingresso della Caritas Eporediese (in piazza Castello) e nessun utente può entrare all’interno dei locali.
Nel dormitorio non vengono accettati nuovi ospiti, con eccezione di quelle famiglie già presenti allo scoppio dell’emergenza e che hanno beneficiato di un prolungamento del tempo di permanenza fino a quando tutto non sarà passato. Lo stesso per quanto riguarda le persone ospitate presso le stanze dedicate all'”Emergenza Abitativa Temporanea“.
Nonostante la difficile situazione che l’ente sta affrontando, tuttavia, qualche segnale positivo ha cominciato a mettersi in moto. In accordo con il Comune d’Ivrea e con il Corsorzio In.Re.Te è stato possibile attivare quattro giovani disponibili ad aiutare nella consegna degli alimenti verso quelle famiglie che, per varie ragioni, non possono allontanarsi da casa. Inoltre sono arrivate «anche tante disponibilità a fare volontariato, persone che volevano venire qua a dare una mano o rendersi utili in qualche modo» racconta fiducioso Ricci. Dovendo attenersi alle necessarie misure di sicurezza (una ragionevole distanza tra i volontari) e non avendo mascherine per poter operare in relativa sicurezza, tuttavia, il direttore ha dovuto a malincuore rifiutare queste richieste, specificando: «ci tengo a ringraziare queste persone, ma non potrei garantire la sicurezza necessaria per tutti quanti».
Lo spaccato di vita quotidiana della Caritas Eporediese riflette perfettamente le criticità che Ivrea, il Canavese e il resto d’Italia si trovano ad affrontare: da un lato permane, infatti, l’interrogativo su come poter soddisfare efficacemente i bisogni di quelle tante persone che, per un motivo o per un altro, si erano affidate ai servizi sociali e, dall’altro lato, cresce la voglia di manifestare solidarietà e di rendersi utili come meglio possibile, se pur nella consapevolezza che la solidarietà dei cittadini ai tempi del coronavirus incontra necessariamente dei limiti invalicabili (banalmente, il fatto di non poter uscire di casa se non per poche, indispensabili motivazioni).
#Iorestoacasa è l’imperativo corretto da adottare, ma per evitare che quest’hashtag si trasformi, per alcuni, in solitudine, disperazione, rassegnazione o ulteriore emarginazione sociale e per limitare i danni che una condizione d’isolamento rischia di generare all’interno delle famiglie più bisognose sarà fondamentale l’intervento del pubblico e dei Servizi Sociali. La rapidità con cui sono cambiate le nostre vite ha reso difficile una pianificazione delle misure da adottare ed è per questo motivo che, per il momento, il Consorzio In.Re.Te. ha “attivato un’unità di crisi per raccogliere le disponibilità di collaborazione delle associazioni del territorio, eventuali problematiche rilevate dai servizi territoriali, segnalazioni e coordinare le attività” (è possibile telefonare al numero 0125 646138 dalle 9.00 alle 17.00, oppure scrivendo all’indirizzo [email protected]).
Forse non abbastanza per fronteggiare l'”emergenza nell’emergenza“, ma certamente un punto di partenza da cui partire.
Andrea Bertolino