Militanti o militonti: ovvero dell’esclusione da Legambiente del Circolo di Biella

17 contrari, 8 astenuti, 35 favorevoli all’espulsione del circolo biellese Tavo Burat. Così si è conclusa l’assemblea interregionale di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta del 18 maggio. Di seguito alcune considerazioni a voce alta da parte dell’ormai ex socio legambientino Ettore Macchieraldo

Il circolo di Biella è escluso, ovvero espulso, dalla affiliazione a Legambiente. Lo ha deciso l’Assemblea Regionale del 18 maggio svoltasi a Torino.
Una vicenda che iniziò al termine dello scorso anno al congresso regionale dell’associazione piemontese. Un congresso onestamente deludente, con poca discussione, molte passerelle, qualche intervento scomposto e un brutto episodio finale.
Mi riferisco all’intervento fuori programma del Presidente dell’associazione Stefano Ciafani che, alla fine del congresso, disse che chi non si trova d’accordo con il documento approvato sarebbe potuto andarsene dall’associazione.
L’ho raccontato nell’articolo Gli ambientalisti del “ma” e il prendere o lasciare del Presidente.
Uso la prima persona perché sono stato ripreso sul mio uso eccessivo del “noi”. Credo che la prima persona plurale sia la condizione grammaticale in cui mi sento più a mio agio, ma qui effettivamente è meglio se uso la prima, se parto da me.
La mia militanza in Legambiente è recente. Uso questa parola desueta, militanza, perché mi è stata appiccicata addosso da un giornale locale e, tutto sommato, è utile per capire quel che vorrei dire. La mia milizia in Legambiente è iniziata nel 2019 con il tesseramento al circolo d’Ivrea. In questi anni ho fatto molte attività nel circolo Dora Baltea e sviluppato diversi progetti. Tra le attività principali che ho condotto vi è l’opposizione all’inceneritore che A2A insiste a voler costruire a Cavaglià, il paese dove è nato mio padre.
E’ un progetto sbagliato, soprattutto perché condanna un’area dal grande potenziale di rinascita e riqualificazione, a diventare la pattumiera del Nord Ovest, definitivamente. Niente “sindrome Nimby”, è una zona dove per decenni si sono concentrate discariche e dove, per esclusiva iniziativa privata, si sommano impianti di trattamento dei rifiuti fino a una concentrazione impressionante.

Ecco, proprio questo volevo dire al congresso il 5 novembre, quanto stonasse l’assenza della trattazione di questo caso nel documento in quel momento oggetto della discussione. Avrei detto che considero questa sottovalutazione grave, se di sottovalutazione si tratta. Non ho potuto parlare.
Dopodiché è successo quello che è successo.
Il mio articolo, il post su Facebook del presidente del circolo a cui ero in quel momento iscritto, le telefonate, le mail, gli incontri, le password che si perdono e che poi diventano sospensione, i provvedimenti disciplinari, i giornali locali che si occupano della vicenda, il nostro (uso la prima persona plurale perché è stata una decisione collettiva) silenzio stampa per lasciare spazio alla discussione interna, la decisione a maggioranza del Consiglio di Presidenza di escluderci dalla affiliazione e, ora, la ratifica a maggioranza dell’Assemblea Regionale.
Tre cose proprio non mi tornano di questa vicenda, tre sassolini nella scarpa che non posso tacere. Quindi scrivo in prima persona e torno di nuovo a porli sulla pubblica piazza.

  1. Il provvedimento disciplinare sottende un modello organizzativo che applica rigidamente una distinzione tra un dentro e un fuori dell’associazione. La discussione congressuale è segreta e non si può esprimere dissenso e neanche note critiche – come nel caso del mio articolo su Pressenza e Varieventuali – perché l’organizzazione non lo vuole. Questo è il nocciolo della accusa che ha portato all’espulsione del circolo Tavo Burat dall’affiliazione a Legambiente. Onestamente è un’impostazione organizzativa desueta e che non mi appartiene. Trovo grave che venga applicata, accettando lo schema dell’amico contro il nemico, proprio quello della guerra, della lotta in ogni quartiere per la transizione ecologica – ma quale transizione vogliamo non è dato saperlo.
  2. Trovo grave la commistione di tutta questa vicenda con quella del termovalorizzatore di Cavaglià. Non è solo sottovalutazione da parte della dirigenza, pare proprio commistione di interessi. So bene che tenere in piedi un’associazione non è cosa facile. E so anche bene che i rapporti con le aziende che possono sponsorizzare eventi e iniziative è imprescindibile. Ci vuole però equilibrio e, tra silenzi nei documenti congressuali, interventi all’Ecoforum di dicembre, pallide critiche a quello che non ci piace di A2A, protocolli nazionali firmati e commistioni di altri circoli in progetti sul nostro territorio, direi che i pesi non sono più ben misurati; vi è una tendenziale accettazione della prospettiva dell’azienda.
  3. Niente mi toglie dalla testa che si sia voluto approfittare di questa occasione per epurare il mio presidente di circolo, Daniele Gamba. Trovo questo l’atto più grave di tutta questa vicenda. Irrispettoso della storia e della militanza di una persona che rappresenta l’ambientalismo disinteressato e che si è formata sulle molte battaglie di questi decenni. Questa esclusione crea una frattura che va al di là del singolo caso.
    Stante così le cose mi pare che alla attuale dirigenza regionale e nazionale più che militanti servano “militonti”. E con questo sancisco la fine della mia milizia.

Ettore Macchieraldo