Via libera all’allargamento dell’attività venatoria: nuove specie cacciabili, turismo venatorio e nessuna possibilità di ottenere il divieto di caccia da parte dei proprietari di fondi. Legambiente: “Una legge senza un perché, un atto di asservimento ad una minoranza armata, contro ogni logica di tutela ambientale e faunistica”
Sette nuove specie cacciabili (allodola, fischione, codone, folaga, canapiglia, marzaiola, pernice bianca), abolizione del divieto di caccia nelle domeniche di settembre, abrogazione dei limiti di ingresso per i cacciatori provenienti da altre regioni e perdita del legame cacciatore-territorio, nessuna possibilità per i proprietari dei fondi di ottenere il divieto di caccia.
Sono queste le variazioni derivanti dalla revisione degli articoli dal 16 al 27 del DDL 83/2020 riguardanti l’allargamento dell’attività venatoria proposto dalla Giunta di centrodestra approvata il 30 giugno scorso. Il lavoro dell’opposizione, che ha presentato migliaia di emendamenti ha portato alla cancellazione di altre 8 specie dalla lista dei “condannati a morte” stilata dalla giunta Cirio, ma non ha potuto bloccare l’approvazione di questa legge-vergogna.
“Siamo di fronte alla decisione di una Giunta Regionale – dichiara Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – che ha scelto di anteporre gli interessi ludici di una ristrettissima minoranza dei cittadini a quelli di protezione ambientale e faunistica. Una scelta senza né capo né coda che non ha giustificazione alcuna. Tutte le specie dichiarate ‘cacciabili’ sono classificate come ‘in declino’ o, peggio, in elevate condizioni di rischio, come la pernice bianca che dal 2000 ad oggi ha visto dimezzare la sua popolazione. Gli esemplari di alcune delle specie in questione pesano meno del piombo contenuto in una cartuccia. Questa legge è un vero e proprio attentato alla biodiversità alpina e in particolare piemontese”.
Oltre all’allargamento delle specie cacciabili, la norma approvata contiene altri aspetti del tutto inaccettabili: l’apertura della caccia notturna (due ore prima dell’alba e due dopo il tramonto) agli ungulati mette a rischio tutte le specie residenti nelle aree interessate dalle battute; la riduzione dei capi di abbigliamento ad alta visibilità obbligatori rende meno visibili i cacciatori mettendo a rischio i frequentatori delle aree boschive e, in ultima analisi, anche i cacciatori stessi.
“Quelle approvate – conclude Giorgio Prino – sono norme assolutamente inaccettabili. Nei contenuti e nella forma. Scrivere che i proprietari dei fondi aperti che volessero richiedere il divieto di caccia sui loro terreni dovrebbero inoltrare richiesta entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio regionale, un piano previsto dal 1992 e mai approvato, è una provocazione inaccettabile, che sa quasi di presa in giro”.