La Casa delle donne di Ivrea sulla sentenza USA sull’aborto

L’intervento di Ottavia Mermoz, vicepresidente dell’associazione Donne contro la discriminazione, sulla sentenza della Corte Suprema USA che ha ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade del 1973 che riconosceva il diritto costituzionale di una donna all’aborto e lo legalizzava a livello nazionale. Con questa decisione i singoli Stati saranno liberi di proibirlo, sono già 13 quelli pronti a farlo.

Noi donne, non casualmente socie dell’associazione Donne contro la discriminazione, siamo particolarmente colpite e amareggiate dalla sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti. Cancellare l’aborto come principio generale dell’Ordinamento è una scelta reazionaria e ideologica, intrisa di pericolose implicazioni religiose che aprirà ulteriori spazi ad una inquietante escalation oscurantista, che mescola intolleranza e discriminazione.
Drammatiche le conseguenze per le donne tutte. In America soprattutto a pagarne lo scotto saranno le donne povere e di colore. Le donne che per tradizioni tribali e subcultura non hanno accesso alla contraccezione e, nuovamente ricorreranno a pericolose pratiche abortive, che credevamo cancellate da anni.
Uno scontro di civiltà, di credenze che si gioca tutto sul corpo delle donne. Nulla riguarda il corpo delle donne più dell’aborto, sottrarre il potere di scelta significa ricacciarle nel mondo opaco e doloroso della clandestinità. Mammane, i ferri da calza e gli intrugli velenosi del fai da te, che compromettono la salute la vita in un paese dove assistenza cure e farmaci sono di nuovo privilegio dei ricchi.
La dichiarazione di indipendenza americana del lontano 1776 riconosceva diritti inalienabili l’uguaglianza, la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Tutti calpestati e, la ricerca della felicità, addirittura cancellata.
Alla disuguaglianza di genere si aggiunge ora quella fra donne. Le ricche, le laureate o con un buon lavoro prenderanno i voli per gli Stati dove sarà possibile interrompere le gravidanze indesiderate, e le altre? Il mito femminista della solidarietà fra donne, della sorellanza, è definitivamente incrinato, ancora e sempre “donne disperse in mezzo agli uomini” (S. De Beauvoir).
Una sentenza che non può non avere preoccupanti conseguenze anche fra noi, in Italia.
La 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza” è stata salvaguardata dalla sentenza della Corte Costituzionale n.35 del 1997, che l’ha dichiarata legge ordinaria a contenuto costituzionalmente vincolato. Ossia non la si può abrogare con un altro referendum.
Ma non si possono comunque dormire sonni tranquilli perché, a parte il compiacimento di individui come Pillon o le esternazioni di certo clero, la guerra non tanto alla legge ma alla sua applicazione è in atto da anni.
Intanto con il proliferare delle obiezioni di coscienza, dettate dal carrierismo e dal conformismo. Sono sempre meno gli ospedali che garantiscono l’interruzione della gravidanza e, anche da noi, sono iniziate le peregrinazioni da un ospedale all’altro in tempi sempre più stretti per non sforare i 90 giorni.
In Piemonte (fonte La Stampa 28.6.2022) sono obiettori un medico su due. All’ospedale di Borgomanero si tocca il picco del 90,91% , compensati dal 22,22% di Ciriè e del 44,44% di Ivrea, entrambi ospedali della Asl To4.
Un dato invece incomprensibile è la presenza di obiettori nei consultori familiari. Infatti l’art. 5 della legge recita che non è tenuto a presentare obiezione chi non prende parte alle dirette procedure dell’intervento e, ovviamente, non all’assistenza antecedente e conseguente.
La 194 è una legge articolata ed equilibrata, in cui più volte è richiamato il rispetto della dignità della donna. Anzi, l’art.15 chiede alle Regioni l’aggiornamento del personale sull’uso degli anticoncezionali e sulle tecniche più moderne e rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna, meno rischiosa per l’intervento di interruzione. Dunque perchè l’ostracismo e tanta ostilità alla pillola R486, all’aborto farmacologico?
Viene effettuato in day surgery, con relativi problemi organizzativi e di personale degli ospedali.

I problemi di fondo di tanta ostilità in realtà sono chiari.

Alla sconfitta del referendum abrogativo, l’immediata controffensiva strisciante degli impedimenti è partita non tanto per scoraggiare il ricorso all’aborto, quanto per dire alle donne che la loro era una vittoria di Pirro, che il potere sul loro corpo era, ed è, rimasto in mani maschili. E’ noto che il 68% dei NO, con una affluenza del 79% degli aventi diritto, si deve soprattutto all’impegno delle donne.
Chi scrive, per età e volontà, ricorda le centinaia di scale salite, i campanelli suonati, il parlare spiegare convincere. Senza sosta, ovunque case e mercati, mai sola ma quartiere per quartiere suddiviso, frazionato fra tante, le giovani per difendere un diritto, le meno giovani per allontanare il ricordo delle insidie della clandestinità.

Anche il riconoscimento ex lege dell’autodeterminazione è fastidioso. Né marito o compagno, né medico, hanno voce in capitolo: è la volontà della donna sempre, anche minorenne che, espletato il percorso regolativo delle certificazioni o autorizzativo del giudice tutelare, potrà recarsi “sola” negli ospedali per l’intervento richiesto.
La parola “strisciante” è volutamente usata per continuare a riconoscere i nemici e i perché della non applicazione della 194. Senza dimenticare in ultimo, l’accesso contorto alla pillola del giorno dopo, soprattutto per le ragazze con rapporti sessuali episodici e spesso fortuiti.
Tanta strada ancora da fare, ma forse la sentenza della Corte Suprema può servire di pungolo a donne e associazioni femministe per riprendere, con voce più alta e ferma un loro aggiornato TOWANDA!!

Ottavia Mermoz
dalla Casa delle Donne di Ivrea