Istruzione secondaria – un bilancio provvisorio

Probabilmente la scuola è un punto di vista privilegiato, una sorta di microcosmo dove il mondo cambia proprio come altrove, ma con più evidenza. Una riflessione sulla scuola e non solo.

La chiusura delle scuole per il Covid – per la quale dovremmo e dovremo continuare a maledire la nostra follia – ha accelerato un processo già in corso, aggravandolo.
Tra prima e dopo alcuni cambiamenti si sono mostrati in modo stupefacente.

Le famiglie

A malapena presenti nei consigli di classe (per i quali è sempre più difficile trovare candidati), nell’era post Covid la modalità di partecipazione al percorso scolastico si palesa in tutto il suo splendore il giorno dell’esame di quinta quando, a prescindere da performance e risultato, la fanciulla, talora anche il fanciullo, sono accolti da un fascio di fiori colorati e commossi: mamma e papà sono fieri di te.
Corona d’alloro, fotografie, selfie, coriandoli, spumante, lacrime.
Per il resto, spesso la relazione genitori/insegnanti si riduce a poco più di una sospettosa cortesia, qualche volta a miseri deprimenti processi.

I professori

Negli anni hanno imparato a navigare a vista assecondando pacificamente la corrente: hanno accolto la valutazione per competenze del biennio scopiazzando i voti disciplinari (una vergogna giustificata solo dalla stupidità della normativa), accettato di buon grado la penalizzazione di discipline teoriche in luogo della santificata “laboratorialità”, adottato entusiasti l’alternanza scuola-lavoro trasformata poi nel PCTO – ennesimo acronimo che contiene a volte tutto più spesso niente –, subìto poi il paradosso dell’educazione civica come disciplina a sé senza un orario dedicato ma con valutazione propria, e il voto di comportamento che fa media, e l’esame di maturità con i collegamenti forzati, e tra poco forse l’educazione all’affettività con la sua bella valutazione …
Intanto, mentre sono allegramente impegnati a trasformare l’insegnamento in “didattica orientativa” con relativa infantilizzazione degli studenti, i docenti si apprestano a incassare la riduzione a 4 anni degli studi superiori e il capolavoro del liceo Made in Italy, voluto dalle imprese e sponsorizzato in primis da Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy: «Il nostro Paese si dota di un innovativo percorso scolastico, che coniuga tradizione e innovazione, strettamente connesso al mondo imprenditoriale, per formare i talenti e i futuri motori della nostra economia, che saranno chiamati a valorizzare al meglio la qualità che caratterizza il nostro Made in Italy». Quando si dice la forza dell’utopia…
Purtroppo la memoria di Don Milani, con la quale ci si è sciacquati la bocca durante tutto il centenario dalla nascita, non ha sortito nella scuola l’indignazione di cui il maestro era ben capace.

Gli studenti

“Il preside non è d’accordo”, può sentirsi rispondere da un compagno lo studente che, coraggiosamente, propone qualche giorno di autogestione.
I ragazzi sono in genere molto più silenziosi e pazienti – e distratti – di quanto fossimo noi negli anni Settanta, perciò accettano tutto (da chi avranno imparato!?), magari alzando gli occhi al cielo e riabbassandoli al cellulare, simulacro di realtà. Accade poi che appena fuori dallo sguardo adulto si perdano, incapaci di equilibrio e controllo propri, ma a scuola si arrendono al mondo così com’è stato confezionato.
I segnali della resa stanno ovunque: dagli esili programmi delle liste elettorali – balli di istituto, feste di San Valentino, felpe con logo, intervalli più frequenti, specchi nei bagni, tornei sportivi (silenzio imbarazzante in sala alla sparuta proposta di “organizzare una giornata di riflessione e studio in difesa dell’ambiente”) – alle attività extracurricolari (cinema, teatro, mostre, conferenze) organizzate per i ragazzi dagli adulti, in una sorta di routine del tutto assimilata, fino alle tristissime feste di fine anno: tanto fumo colorato, magliette con slogan infantili, foto con il prof, applausi [andate al lago a fare il bagno, divertitevi tra voi, ignorate gli adulti, scappate!].
I nostri istituti – afferma Christian Raimo – sono diventati spazi “dove ci si educa all’astensionismo e all’inerzia”: lo fanno gli insegnanti, lo fanno le famiglie, e i dirigenti, e i legislatori.
Sarebbe entusiasmante ripensare tutta la scuola, ma sono forse questi i tempi?

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