Realtà versus narrazione

Made in Italy? Anche no, grazie

Il nuovo avanza a passi lunghi e distesi, e nelle scuole più che altrove.
Le manganellate agli studenti, la didattica orientativa, il voto in condotta anche alle primarie, l’onore al Merito, i “percorsi trasversali” obbligatori, la media di educazione civica, la competizione tra docenti, la “digitalizzazione” assurta a totem…

OSTINAZIONE

E però oggi festeggiamo l’ostinata intelligenza di chi non si è fatto buggerare dai venditori del liceo “Made in Italy” (Fatto in Italia) sostenuto in primis da Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, con la onirica idea di connettere la scuola «al mondo imprenditoriale, per formare i talenti e i futuri motori della nostra economia».
Insomma, in luogo dell’astratto, polveroso, inane sapere, una moderna culla per la futura classe dirigente, cui «fornire princìpi e strumenti per la gestione d’impresa, tecniche e strategie di mercato, strumenti per il supporto e lo sviluppo dei processi produttivi e organizzativi delle imprese del made in Italy, strumenti di sostegno all’internalizzazione delle imprese dei settori del made in Italy e delle relative filiere», laddove l’insistenza cacofonica sulle voci “strumenti” e “imprese” svilisce la formazione scolastica a grimaldello per scardinare la porta del Successo.
Anche per chi fosse cresciuto a pane, business e scarsa fantasia e seppur frastornato dai ridondanti proclami-fuffa, sarebbe difficile ritenere il “Fatto in Italia” diversamente da quel che è: in fin dei conti e banalmente più corso per aspiranti markettari che liceo (per quanto questo già corrotto dall’orientamento funzionale e permanente): «durante il triennio – per l’appunto dichiara la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti – il liceo del Made in Italy affronterà tematiche quali mercati internazionali e prodotti italiani, modelli di business vincenti nei settori dell’alimentare, dell’arte e della moda, economia e gestione delle imprese».
Un programmino fragile e ondivago, soggetto ai venti che tirano, difficile da amare perfino nell’orrido XXI.

I CONTI

E infatti alla chiusura delle iscrizioni, nonostante battage e tamtam i primi dati sono eloquenti: 375 studenti in tutta Italia hanno optato per il Made in Italy, lo 0,08% dei neoiscritti agli istituti superiori.
Una vera debacle, che però non turba l’animo quieto del Ministro Valditara, tutt’altro:
quando poi, qualche giorno dopo, prodigiosamente quella cifra cresce di altre 45 unità, il nostro esulta per «un incremento del 12%, con 420 iscritti totali», il che dimostrerebbe «una crescente domanda da parte delle famiglie di percorsi di studio che siano fortemente innovativi e orientati all’inserimento nel mondo del lavoro, confermando l’efficacia delle politiche adottate e il loro impatto positivo sull’orientamento degli studenti».
Più bassa è la cifra più la percentuale camuffa la prosaica verità, una delle regole del buon venditore essendo la parvenza del successo, la narrazione in luogo della realtà.

BRINDISI

Magari non proprio in nome dello “studio matto e disperatissimo” di leopardiana memoria.
Però la scuola a queste latitudini oppone forse ancora resistenza alla espulsione di tutto ciò che non è utile, spendibile, monetizzabile, quantificabile.
Studiare per sentirsi più vivi, capire per il gusto di capire, dibattere per scoprire qualcosa, scavare per porsi altre domande, conoscere per conoscere ancora: quanto ancora durerà? Uno, due, quattro anni? Intanto festeggiamo, ché di ‘sti tempi è grasso che cola.

sire