Il peggiore del Piemonte, insieme a quello di Cuneo

Lo confermano i dati del DAP sugli “eventi critici” registrati nel 2016

Che il carcere di Ivrea sia uno dei peggiori della Regione è risaputo da tempo dai detenuti che, infatti, cercano qualsiasi occasione (per lo più con atti di autolesio­nismo) per essere trasferiti.
Da qualche mese, poi, alla stessa conclusione sono arrivati quanti hanno visitato il carcere (consiglieri regionali, parlamentari, garante nazionale dei detenuti, ispettori ministeriali) a seguito dei noti episodi del 25 ottobre scorso (venuti alla luce grazie alle lettere firmate da detenuti inviate a infoaut.org) riportati da diversi organi di informazione.
Ora, a confermare questo non lusinghiero giudizio sulla Casa Circondariale eporediese, arrivano i dati ufficiali del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) dai quali emerge che il carcere di Ivrea, al 28 febbraio scorso, con i suoi 243 detenuti (a fronte di 197 posti regolamentari) ospita poco più del 6% dell’intera popolazione detenuta del Piemonte (che è di 3.903 persone), ma nel corso dell’anno 2016 ha registrato quasi il 16% dei cosiddetti “eventi critici” (per la precisione: 54 risse, 2 ferimenti, 109 atti di autolesionismo, 9 tentati suicidi e un suicidio) rilevati in tutti i 12 istituti della regione. Dati che sono superati in Piemonte solo dal carcere di Cuneo (che si aggiudica la “maglia nera” in questa non proprio onorevole classifica) e fanno comprendere definitivamente quanto il malessere nell’istituto di Ivrea sia nettamente superiore alla media regionale.
Una situazione che, nonostante alcuni netti interventi, non pare possa cambiare significativamente.
Qualche timido segnale positivo si avverte (la piccola sezione di persone transessuali pare stia superando la condizione di vera e propria segregazione, discriminazione ed esclusione nella quale si trovava fino a qualche mese fa) ma, per riprendersi dal degrado a cui è giunta la Casa Circondariale di Ivrea, occorrerebbero misure decisamente più radicali.
E, in questa direzione sarebbe necessario, oggi più che mai, che “il popolo del carcere” (cioè quanti vivono e lavorano nell’istituto eporediese) avvertisse l’attenzione e la vicinanza della città, della comunità e delle sue istituzioni.

fz