Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto una mail del delegato a Ivrea della Comunità Ebraica di Torino che critica il nostro articolo “Cessate il fuoco”, in particolare l’uso della parola genocidio. Volentieri esplicitiamo meglio quanto si voleva comunicare.
La pubblicazione dell’articolo “Cessate il fuoco” ha provocato la reazione del signor Guido Rietti, delegato a Ivrea della Comunità Ebraica di Torino, che ci ha scritto per denunciare che l’articolo contiene “affermazioni gravi”. «In primo luogo ribalta completamente i fatti sull’accusa di genocidio assurdamente rivolta a Israele. – afferma Rietti – Al contrario di quanto è scritto, questo “genocidio” non è stato riconosciuto come tale né dall’ONU né dal Tribunale dell’Aja. Infatti l’accusa è stata finora solo presentata, e si vedrà che non ne esistono i presupposti nel Diritto Internazionale.»
Vorremmo chiedere a coloro che puntualizzano in questi termini l’uso del termine genocidio, se si sentono tranquilli perché l’Aja e l’Onu non hanno ancora formalmente decretato il genocidio, ma l’hanno solo considerato. Noi no, e ci scusiamo per aver urtato la sensibilità della Comunità ebraica per aver usato la parola genocidio, possiamo usare al suo posto la parola massacro, se la si preferisce, questa è innegabilmente inconfutabile. A Gaza è infatti in atto per mano dell’esercito israeliano il massacro del popolo palestinese, lo provano i più di 28.000 morti, la maggior parte donne e bambini.
Riguardo al pronunciamento del Tribunale dell’Aja ricordato nella mail, non è corretto dire che il genocidio “non è stato riconosciuto”, perché in realtà la Corte ha riconosciuto “il fumus boni juris (la non manifesta infondatezza) del ricorso del Sud Africa per esaminare il gravame concernente il reato di genocidio”, detto in parole semplici la Corte ha accertato sufficienti indizi per approfondire l’istruttoria sul reato di genocidio.
Ma francamente, il punto è questo? Noi pensiamo che il punto sia invece che la reazione delle forze armate israeliane (IDF) al condannabile attacco del braccio armato di Hamas del 7 ottobre che ha fatto 1200 morti israeliani, è di una ferocia mai vista e punta al massacro e all’allontanamento dei palestinesi da Gaza. Massacro perché l’IDF spara su tutti uccidendo civili inermi, bambini, donne, malati, medici, giornalisti, bombarda case, ospedali, centri profughi. Un popolo già provato dalle politiche di apartheid e dal colonialismo, è ora terrorizzato perché vive immerso nella morte, perché non ha un posto sicuro dove rifugiarsi, e vi sono bambini rimasti senza genitori (16.000 l’ultimo dato), genitori che hanno visto morire i propri figli sotto i loro occhi, fra le loro braccia, malati gravi che muoiono di agonia perché non possono più curarsi.
Come vogliamo chiamare tutto questo? Diritto alla difesa?
E che dire dei piani dei nazionalisti israeliani che a fine gennaio si sono radunati a Gerusalemme nella conferenza per la “colonizzazione ebraica di Gaza” alla quale han presenziato 12 ministri e diversi deputati, e dove un oratore ha detto «Gaza fa parte della Terra d’Israele. Laddove l’aratro ebraico scava il suo solco, là passa il nostro confine». E nel suo intervento il ministro per la sicurezza nazionale si è espresso in favore della ”emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza affermando: «Dobbiamo incoraggiarla che se ne vadano da qua».
Siamo davanti al dramma straziante di un popolo calpestato da 70 anni nella propria terra. Come si può davanti ad immagini e filmati di corpi lacerati, dilaniati, di sguardi terrorizzati, testimonianze raccapriccianti, inalberarsi per l’uso di una parola per quanto pesante. Come si può nello stesso scritto non avere invece una parola, almeno di pietà, per ognuno di quei 28.000 morti e dei sopravvissuti che soffrono per ferite laceranti nel fisico e nello spirito, come si può rimanere impassibili, senza dar loro almeno la dignità di essere nominati, senza chiedere scusa perché nulla si sta facendo perché quel terribile massacro si fermi.
La critica del delegato continua poi affermando che “l’articolo sostiene l’opportunità di usare il Giorno della Memoria in funzione propagandistica”. Sì, affermiamo che la Giornata della Memoria deve essere tenuta viva anche manifestando contro i governi che ripetono le atrocità che vogliamo ricordare perché non si ripetano più. E ribadiamo che annullare le manifestazioni per il cessate il fuoco vuol dire annullare il senso alto della Giornata della Memoria. È propaganda questa? Sì, propaganda per la Pace e perché gli orrori dell’olocausto subito dagli ebrei per mano dei nazisti non si ripetano più.
Ci scrive, il signor Rietti, che non approva il governo israeliano, bene. Ditelo forte allora, perché le manifestazioni di disapprovazione degli ebrei della diaspora sono le più importanti. Si unisca, unitevi, alle voci di profondo dissenso che già ci sono in tutto il mondo e anche in Italia, come testimonia l’appello Mai indifferenti – Voci ebraiche per la Pace: «Siamo un gruppo di ebree ed ebrei italianiche, dopo la ricorrenza del Giorno della Memoria e nel vivere il tempo della guerra in Medio Oriente, si sono riuniti e hanno condiviso diversi sentimenti: angoscia, disagio, disperazione, senso d’isolamento. Il 7 ottobre, non solo gli israeliani ma anche noi che viviamo qui siamo stati scioccati dall’attacco terroristico di Hamas e abbiamo provato dolore, rabbia e sconcerto. E la risposta del governo israeliano ci ha sconvolti: Netanyahu, pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare che ha già ucciso oltre 28.000 palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta. Purtroppo sembra che una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riescano a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro. I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra: sono inaccettabili e ci fanno inorridire.»
Fate sentire forte la vostra autorevole voce affinché si interrompa il massacro, perché “cessi il fuoco”, perché non si arrivi al genocidio conclamato. Scrivete, non solo a noi, ma al governo israeliano come singoli e come comunità, attraverso i vostri canali diretti. Fateci sentire la vostra pietà per ognuno dei morti, israeliani e palestinesi, nessuno escluso.
Anche la vignetta a corredo dell’articolo non è piaciuta perché ci viene contestato “allude alla contiguità tra lo sterminio degli ebrei nella Shoah e gli avvenimenti di oggi. Un paragone tendenzioso tra eventi enormemente diversi per i numeri e per l’intenzionalità del disegno persecutorio, che non può essere lecito.”
La vignetta, dell’autore e disegnatore Gianluca Foglia “Fogliazza”, da anni impegnato nel Teatro Civile con progetti sulla memoria e in particolare sulla Resistenza, semplicemente dice “Se si continua solo con la memoria del passato ci si illude che è successo solo allora” e lo fa dire ad un bambino con alle spalle delle rovine. Non c’è scritto che quel bambino è a Gaza, ma è naturale pensarlo, non tendenzioso, essendo quella la terra dove in questo momento è in corso un massacro che ha già ucciso 28 mila persone e fra queste 10.000 bambini e ne ha lasciati orfani 16.000.
Infine, ci viene suggerito che sarebbe opportuno rimuovere questi contenuti (vignetta e articolo), in quanto lesivi anche della nostra immagine.
Ringraziamo per l’attenzione alla nostra immagine, ma – pur consapevoli di essere fallibili come ogni essere umano – tradiremmo i nostri valori se cedessimo a censure, se mettessimo il bavaglio alla libera espressione nostra e di chi contribuisce, da più di 30 anni, alla realizzazione di questo giornale.
Restiamo umani.
La Redazione