Per un 25 Aprile di nuova Resistenza
La crociata anti-antifascista da parte della destra al governo si fa sempre più insopportabile (e dire che siamo abituati da tempo a controbatterla). Dopo i vari esponenti dei Fratelli d’Italia che non si contano più, ora si è mossa in prima persona la seconda (!) carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio Benito La Russa. Il quale, dall’ alto del suo scranno, ha l’ardire di affermare che l’ attacco in via Rasella a Roma nel marzo 1944 dei Partigiani romani ad una colonna di trentadue tedeschi, musicisti semi-pensionati, e nemmeno nazisti, fu un atto “fra i meno nobili della Resistenza”. Questa l’esternazione 2.0, in quanto la prima recitava che era stato “un atto ignobile”. Seguono scuse che non scusano un bel niente, ovviamente. Intanto il polverone si è alzato, e non si parla dei problemi del Paese.
Concentrare in una sola frase così tanti falsi storici è un’impresa degna di nota per la la mancanza di dignità di chi la pronuncia, ed anche per il suo sprezzo del ridicolo. Sappiamo bene come le persone vere e di valore non amino far sfoggio della loro intelligenza, mentre c’è sempre chi fa a gara per far mostra della propria pochezza.
Esaminiamo le parole di La Russa e le sue menzogne.
Prima bugia: i cosiddetti musicisti semi-pensionati facevano parte a tutti gli effetti del 3° Battaglione del Polizeiregiment Bozen, e transitavano in via Rasella di ritorno dall’addestramento militare, non dalle prove d’orchestra;
seconda bugia: i semi-pensionati avevano un’età compresa fra i 26 ed i 42 anni. Se avessimo voglia di scherzare, diremmo che la parola semi, metà, non può andar bene per i primi, se si considera l’età della pensione a 52 anni (troppo pochi) ma nemmeno per i secondi, 84 anni sono troppi;
terza bugia: anche se il Battaglione Bozen era formato da altoatesini che avevano optato per la nazionalità germanica non si può affermare che non fossero nazisti;
quarta bugia: si capisce che La Russa non consideri l’attentato di via Rasella una delle pagine più gloriose della Resistenza partigiana. Ma proprio perché è stata la reazione d’orgoglio di una città che dal 10 settembre 1943, era sotto occupazione dei nazisti e dei fascisti della RSI, ottenne il riconoscimento dell’eccezionalità e l’encomio da parte dei Comandi Alleati. In nessuna capitale europea si era mai vista un’azione di guerra contro gli occupanti come in questa città, in seguito Medaglia d’ Oro della Resistenza perché “per 271 giorni contrastò l’occupazione di un nemico sanguinario e oppressore con sofferenze durissime.”
Uno di quei soldati che scampò alla morte, racconterà che li facevano sfilare per Roma cantando a squarciagola, armati con cinque o sei trombe e chitarre, pardon, bombe, attaccate alla cintola, e che se non fossero stati così armati ci sarebbero stati meno morti, in quanto le bombe esplodendo sul corpo dei soldati li ferivano mortalmente anche se non venivano raggiunti dai colpi dei Gappisti.
Mi sto accorgendo che sto raccontando fatti sui quali abbiamo già studiato tanto, sui quali la Storia si è già espressa discriminando senza ombra di dubbio chi siano stati i carnefici e chi le vittime. Fatti che abbiamo imparato pian piano, chi a Scuola, chi nella pratica dell’attività politica, sindacale, civile e dalle testimonianze di chi quei tempi li ha vissuti e li ha subìti con cicatrici mai rimarginate. Ora ce li sentiamo ri-raccontare in un modo completamente contrario, come se migliaia e migliaia di morti siano colpa dei partigiani, perfino dei comunisti badogliani, abbiamo avuto la disgrazia di sentire. Rispondere colpo su colpo è un’impresa che non ci spaventa, ci rattrista semmai, e ci toglie energie che potremmo destinare al futuro. Ma lo faremo perché è l’atto politico più forte che possiamo fare. L’accusa nei confronti della sinistra che sa solo guardare al passato, che ci ripetono per ogni fatto che riguardi la storia delle loro nefandezze, è la proiezione allo specchio di una destra nostalgica che vorrebbe ritornare al passato per cambiarlo perché non ha mai accettato la sconfitta. Non hanno imparato che la Storia non si può riscrivere. Ricorderemo loro anche questo.
Il problema vero che si pone oggi, dopo “gli Italiani” di Meloni, i “musicisti” di La Russa, e chissà cos’altro ci riservano i prossimi giorni, è difficile da risolvere: fino a quando può essere accettato il rispetto delle figure singole che incarnano cariche istituzionali? Finora questo è stato un cardine inscindibile della nostra democrazia, pur con tutti i rospi che ha fatto ingoiare a chi debba agire con queste figure per il suo ruolo nella società. Si può rispettare La Russa in quanto Presidente del Senato, o è considerata una sovversione il biasimarlo, o chiederne le dimissioni come fa l’ANPI ed altri soggetti della società?
Un’altra domanda è legittima: quando stabilire se sia giunto il tempo di attuare una forma di disobbedienza civile verso chi indegnamente rappresenta non lo Stato ma una parte di esso, e per di più in contrasto con la Costituzione? Noi che, ligi all’articolo 54 , rispettiamo “ il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” non abbiamo anche il dovere di denunciare “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche” che non ottemperano al “dovere di adempierle con disciplina ed onore” avendo”prestato il giuramento previsto dalla legge”?
Sono domande retoriche ? Certamente no, in quanto la risposta non può solo essere individuale, e deve provenire da chi ne sa molto più di noi, che, così spesso e per fortuna, siamo animati da simpatie e da passioni, che con la giustizia a volte si scontrano.
Dare risposte è sempre molto più complicato che fare domande, lo so bene, ma poiché “La Repubblica siamo noi. Insieme” (Sergio Mattarella, 31 dicembre 2022) possiamo provare insieme a darne qualcuna. Partendo, modestamente, da una certezza, direi grammaticale, che andrebbe aggiunta ai libri di testo scolastici (Valditara permettendo): davanti al termine fascismo non si possono usare i suffissi vetero-post-neo. Basta il termine nudo: fa ribrezzo da solo.
Ed allora, per non restare in stallo, che sarebbe una sciagura, concentriamoci sul prossimo 25 aprile. La parola Liberazione assume quest’anno un significato molto attuale, che deve risvegliare quella poco o quella tanta di voglia di reagire che ci portiamo entro. Con la speranza, mutuata da Anna Frank, di poter essere gentili ed avere coraggio, lasciando ai fascisti la brutalità e la vigliaccheria. Lo dobbiamo a chi ha speso bene il suo tempo, regalandoci il nostro.
Luciano Guala