Comunità energetiche: qualcosa si sta muovendo, ma troppo lentamente

Frequentemente abbiamo letto sulla stampa locale di molte iniziative a cura di tanti dei nostri comuni che, grazie a finanziamenti ottenuti principalmente da fondazioni private, si sono impegnati nella progettazione di massima di Comunità Energetiche Rinnovabili (CER)

Abbiamo persino registrato una novità su scala nazionale: la prima CER totalmente pubblica, ovvero una Comunità in cui gli enti locali detengono, da  statuto, il controllo degli organi di  gestione.

Tuttavia, putroppo, sul nostro territorio non possiamo censire alcuna CER attiva nonostante che si sia iniziato a parlarne almeno dal 2020 quando fu proposta la costituzione di una comunità energetica rinnovabile nel Quartiere Bellavista d’Ivrea. Purtroppo questo progetto è arenato da più di un’anno a causa di alcuni lavori necessari a rendere agibile il tetto della scuola Falcone e dalla mancata indizione di un bando di parteniarato-pubblico privato per la concessione del tetto stesso per l’istallazione dell’impianto PV.

Il Green Deal europeo, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 ed il dimezzamento delle emissioni entro in 2030 risale al 2019. Mentre la direttiva (UE) 2018/2001 risale al dicembre del 2018 e che tra recepimenti transitori, regolamenti ARERA e decreti ministeriali il quadro normativo non è ancora certo. Sappiamo che il 22 novembre scorso la commissione UE ha approvato il decreto che definisce il regime di aiuti di Stato per le CER e per l’autoconsumo ma il decreto non è stato ancora pubblicato. Di certo non possiamo dire che i governi susseguitisi abbiano agito con la celerità necessaria all’efficacia delle azioni di mitigazione della crisi climatica.

Anche noi, forse, diamo un contributo a questa situazione: tutti, o quasi, siamo convinti dell’urgenza e sappiamo che è in gioco la sopravvivenza, ma non abbiamo la percezione di esserci immersi pienamente nella crisi. In altre parole: lo sappiamo ma non ci crediamo abbastanza.

A nostro discapito possiamo dire che è difficile farsi un’idea della vastità e complessità delle azioni necessarie.  Dalla COP di Parigi sentiamo parlare di obiettivi al 2030 piuttosto che al 2050, ma intuiamo cosa dovrebbe succedere, cosa dovremmo fare: noi, gli enti locali, lo Stato, per raggiungere quest’obiettivo?

Due casi particolari: IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) nel suo ultimo rapporto elenca cinque percorsi da seguire per raggiungere l’obiettivo dei 1,5 °C massimi. Uno di questi consiste nel far salire al 70% la percentuale di FER (Fonti Energie Rinnovabili) nel mix elettrico globale entro il 2030, più che raddoppiando (spazio) la quota  rispetto al circa 30% del 2020. Come indicato da una ricerca dell’Energy Center del Politecnico di Torino commissionato da AEG Coop attualmente la nostra produzione di FER nell’Eporediese è pari a 71 MW di cui quasi 44 da idroelettrico e 24 da fotovoltaico. Constatando che il nostro territorio è ormai più che saturo di centrali idroelettriche e che abbiamo poco vento e discontinuo non resta che far ricorso massicciamente al PV (Pannello fotovoltaico) con almeno 50 MW nuovi. Siamo 90 mila abitanti e quindi dovremmo istallare poco più di 500 W a  testa. Quindi in un comune di 3.000 abitanti dovremmo istallare più di 1,5 MW. Di solito sulle nostre case istalliamo impianti da 2, massimo 3 kW e quindi ne occorrerebbero 1500/3= 500 impianti in 6 anni. Tanti, vero?

Un altro obiettivo indicato è il dimezzamento, sempre entro il 2030, dei gas climalteranti immessi in atmosfera rispetto quelli del 2019. Tenendo presente che, sempre nell’indagine commissionata da AEG Coop, il 75% degli edifici nell’Eporediese risultano ricadere nella classe energetica E o peggiore, approssimativamente, potremmo affermare che per dimezzare la quantità di gas bruciata occorrerebbe portarli tutti in classe A1. Quindi, affinché il boom di cantieri per il super bonus 110% fosse adeguato alla sfida avremmo dovuto, passeggiando per le nostre strade, incontrare lavori d’efficientamento energetico praticamente ovunque.

Un’ultima annotazione specifica sulle CER. Queste più che un modo per ridurre i costi energetici privati o pubblici possono dare un contributo importante per la decarbonizzazione della società e dell’economia, ma soprattutto essere uno strumento per una maggiore giustizia sociale.

Dal punto di vista della produzione dell’energia elettrica, le CER promuovono un passaggio da una produzione e distribuzione centralizzata ad una diffusa che rende corresponsabili cittadini, imprese e enti locali. Noi tutti si diventa attori protagonisti nel soddisfare le nostre necessità energetiche cessando di essere clienti finali di un processo di cui non sappiamo poco o nulla.  È un modello che, per poter ricavare il massimo di vantaggi energetici ed economici, richiede la collaborazione, quasi un’alleanza, tra cittadini, comunità, associazioni, enti locali e imprese finalizzati al soddisfacimento di bisogni concreti.  È, quindi, un modello alternativo che ha un’importante valenza nella ricostruzione di relazioni sociali positive soprattutto all’interno di aree marginali o di periferie cittadine. Da qui, l’imprescindibilità di una forte animazione socio-culturale dei territori sia per rendere le CER luogo di innovazione sociale che per mettere tutti in condizione di poter fare scelte tecnico-energetiche competenti e consapevoli.

Per questo, sì: nell’anno che si sta chiudendo qualcosa è successo ma occorre muoversi ed accelerare il passo.

Da dove partire? Forse da una riflessione sui dati pubblicati da Eurobarometer qualche giorno fa: Ambiente e crisi climatica compaiono solo al 5° posto tra le preoccupazioni dei cittadini europei dopo Immigrazione, Guerra in Ucraina, Situazione internazionale e Salita dei Prezzi / Inflazione / Costo della vita. È una questione di priorità!

Mimmo Pignataro, Circolo Legambiente Dora Baltea