Ci ha lasciato un uomo giusto, libero

Ci ha lasciato un uomo giusto, libero.

Un cristiano che ha vissuto appieno la sua vita da cristiano, nello spirito e nelle azioni. Un laico nel senso ampio del termine.
Vicino al lavoratori, invitò negli anni 60 in Vescovado il consiglio di fabbrica Olivetti, fatto unico, presente nei cortei degli operai in sciopero per i loro diritti, si prese una denuncia per blocco stradale perché rimase con gli operai, poi andarono tutti assolti, ma lui era lì.

Come deve essere un vescovo, fra le persone che lottano per i diritti e un mondo migliore. Uomo di Pace, negli anni 90 partecipò alla marcia dei 500 con destinazione Sarajevo per formare una barriera di corpi contro la guerra a braccia alzate, insieme a pacifisti, attivisti di sinistra.
Ancora nel maggio  scorso volle partecipare alla tappa di Ivrea della Staffetta per la Pace e ci ricordò l’importanza dell’azione pacifista che deve essere però non solo di denuncia e testimonianza, ma deve produrre un cambiamento.
E nei suoi interventi dopo l’attacco russo in Ucraina, forte fu la condanna all’atto di invasione, ma da uomo giusto e libero disse che la Pace non arriva rispondendo alle armi con le armi. E aggiunse parole nette che dicevano che la Nato andava sciolta quando era stato promesso, invece “non solo non l’abbiamo abolita, ma l’abbiamo allargata” con le ovvie conseguenze. Bettazzi richiamava sempre alle responsabilità personali e anche collettive, senza indulgenze.
Un uomo che ha vissuto intensamente, nella realtà del suo tempo, uomo spirituale, ma non contemplativo, che si è sempre messo al servizio dell’altro con azioni, denunce e profonde riflessioni.
Avremmo bisogno di uomini come il vescovo Luigi Bettazzi, oggi più che mai che gli ideali sono calpestati, che l’individualismo prevale, che i potenti sono sempre più spregiudicati, e i deboli indifesi. A Ivrea abbiamo avuto il dono di averne uno, la sua eredità di pensiero e azioni è universale, cercheremo, anche da laici e non credenti, di metterla a frutto nel suo ricordo, con gratitudine.

Cadigia Perini

Ciao Monsignore

voglio ricordarti attraverso uno dei tuoi numerosi libri “La sinistra di Dio”, in cui scrivevi: “Se “destra” è consolidamento del potere e “sinistra” è contestazione del potere in nome e a favore della solidarietà verso i più piccoli e i più poveri, viene da concludere che Gesù era molto più vicino a questa che a quella, e che questa è la scelta obbligata per chi vuol essere suo discepolo.”

Franco Giorgio

Ci sono persone che ti aiutano a orientarti nella vita

Direttamente, e in alcuni casi per casualità o riflesso, ti offrono chiavi di lettura, ti propongono sguardi possibili, ti aiutano a non dare per scontato o a non cedere al rischio delle semplificazioni “buono – cattivo”.
Luigi Bettazzi è stata una di queste.
Sono tanti i momenti che potrei ricordare qui ma ne scelgo uno. Quando i fascisti diedero fuoco al centro di prima accoglienza per migranti a Bellavista, il primo a arrivare e a stare con noi tutta la notte fu Luigi Bettazzi.
Mi sento, un po’ più solo.
Un abbraccio a tutti e tutte quelli e quelle che gli hanno voluto bene e hanno avuto la fortuna di discutere con lui di pace, diritti, laicità e religione, giustizia sociale e ambientale. Un abbraccio ancora più forte a Giuliana, sua profonda amica, instancabile militante di impegno civile.Andrea Morniroli

Sono atea, ho 18 anni

“Sono atea, ho 18 anni”.
Suore e preti mi guardarono scandalizzati, cominciarono a borbottare.
Don Bettazzi li zittì, mi invitò a continuare.
Poi mi disse che non era necessario avere fede per essere nella Grazia di Dio.
Era sufficiente essere giusti.
Erano gli anni di Pax Christi, di Ivrea ancora intrisa di pensiero olivettiano, del mio Liceo progressista e insopportabilmente e magnificamente catto-comunista.
Un liceo che mi permetteva di studiare Dante leggendo Gramsci, che al posto di D’annunzio ci offriva la lettura di Thomas Mann e di Tolstoi.
Io, esonerata dall’ora di religione, frequentavo da uditrice le lezioni di teologia di Don Gamerro e mi infilavo ad ascoltare il vescovo Bettazzi appena potevo.
Ho imparato a definirmi non credente, superando l’ateismo che è un’altra forma di dogma.
E ho cercato, sempre, di essere giusta nei limiti del mio infinitamente umano.
Don Bettazzi ha terminato stanotte il suo viaggio terreno. Il mio omaggio profondo a chi mi ha fatto pensare ascoltandomi, tanti anni fa.

Ilda Curti

Salvate il Vescovo! Non sa nuotare!

Ventotene, probabilmente il 1976. Luglio
Erano, quelli, anni in cui la Casa dell’Ospitalità di Burolo organizzava, in quel pezzo di paradiso ancora poco battuto dal turismo, dei soggiorni estivi per una ventina di disabili.
Ad accompagnarli e occuparsi di loro – oltre a Don Rodolfo o Don Arrigo – dieci-quindici adolescenti pieni di energie (e di energia ce ne voleva, su e giù per le rampe, prendi porta lava apparecchia sparecchia pulisci riprendi riporta…) e di un contagioso buonumore.
Quell’estate a un certo punto arrivò Bettazzi, per godersi una breve vacanza su quel “sasso in mezzo al mare” tra bella gente, vento che si mangiava l’afa, mare incorrotto, zero traffico. Che vuoi di più?
E infatti lui era di ottimo umore, raccontava storielle alle quali ridevamo soprattutto perché comunque era il vescovo (non che ci mettesse a disagio, ma era già una specie di mito: il “nostro” Bettazzi di cui vantarsi un po’ in giro), quando ti vedeva con la ramazza in mano esclamava “non sui miei piedi, che poi non mi sposo più!”.
Un concentrato di leggera ironia, la cui compagnia era sempre privilegio.
Ma lui era solo “lui”, al massimo “Luigi”: l’ordine perentorio era di non svelarne l’identità, altrimenti addio pace: se infatti quel serpentone variopinto che ogni giorno muoveva a fatica verso la spiaggia era ben strano ma tollerato “a fin di bene” (“quelli della diocesi”, ci chiamavano chiedendosi bonariamente come potesse un prete guidare quel branco di fuori di testa), tuttavia i placidi e un po’ flemmatici Ventotenesi erano devoti assai, a Santa Candida innanzitutto, e poi ossequiosi verso ogni gerarchia ecclesiastica.
Avessero sospettato la presenza addirittura di un monsignore mimetizzato tra asciugamani ombrelloni e costumi da bagno, apriti cielo! Perciò “mi raccomando, che nessuno mi chiami Monsignore”. Richiesta condivisa e segreto rispettato, muti come pesci. Peccato che un giorno – entravamo in porto dopo una gita al solito molto felice e un po’ incosciente con tutti i disabili – la barca dalla quale Bettazzi stava per scendere si capovolse e lui – che gran nuotatore proprio non era – cadde in acqua.
“Il vescovo! Aiutate il vescovo, non sa nuotare!”, cominciò a gridare la più apprensiva tra noi.
I Ventotenesi impazzirono: tempo otto minuti il paese intero sapeva, e per il povero Bettazzi non vi fu più pace: inviti a cena, omaggi, visite, dichiarazioni di affetto, veri e propri pellegrinaggi alla casa parrocchiale di Ventotene, che per qualche settimana perse quella quiete duramente conquistata.
E’ così che ricordo “il nostro vescovo”: mentre si scansa per evitare la scopa sui piedi, nell’acqua pancia all’aria come ogni debole nuotatore, a tavola con noi senza cerimonie, socievole e talora divertente, schivo e sorridente, instancabile, osservatore.
Ricordo di lui che amava vivere.

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Dovrei andare nel bagno del vescovo…

Avevo quindici anni ed ero la sorella minore di fratelli che facevano parte attivamente di Pax Christi.
Io e le mie fide amiche pur di uscire andavamo ai rosari, alle riunioni in parrocchia e quella sera finimmo alla festa di compleanno di Bettazzi che, come ogni anno, si svolgeva in Vescovado insieme a tantissime persone.
Erano feste molto divertenti perché lui tirava fuori dall’archivio dei paramenti i vari abbigliamenti, i cappelli strani che negli anni avevano indossato i vescovi e con questi faceva una sorta di sfilata.
Perché la sua intelligenza e la sua profondità erano sempre accompagnate dall’allegria e non c’era riunione in cui mancasse una battuta, un aneddoto e la sua particolare ironia.
Ma cosa succede durante una di queste feste? Succede che io vado in bagno per lavarmi le mani, mi tolgo tutti gli anelli (allora ne portavamo tanti, d’argento o più spesso di tolla), li appoggio sul lavandino e poi li dimentico lì.
Il giorno dopo me ne accorgo, ma ormai è tardi. Allora insieme alle mie inseparabili amiche Gabriella e Tiziana torniamo in vescovado. Suoniamo e ci apre un prete… diciamo non come Bettazzi, ecco.
Ci chiede cosa vogliamo e noi rispondiamo che cerchiamo Bettazzi perché, specifico io, ieri sera ho dimenticato gli anelli nel bagno del vescovo.
L’espressione del prete la lascio immaginare, davanti a questa ragazzina profana che osa affermare una cosa simile.
Naturalmente avrei mille altri ricordi più seriosi. Ma su tutti, grandioso, quello della festa di compleanno dei 99 anni di mio papà nella casa di riposo di Alice.
Lui e Bettazzi avevano la stessa età. Erano grandi amici e andavano insieme alle feste di compleanno dei coscritti.
Di quel giorno rimane una foto in cui, vicini, sembrano Falcone e Borsellino.
Mio papà ha festeggiato i 100 anni e lui lo avrebbe fatto a novembre. Gli mancherà tantissimo.

Cristina Capello

Canto d’addio al Vescovo e all’Uomo

L’intera comunità intona il canto d’addio al Vescovo e all’Uomo.
Il rito del saluto ai morti è ancora uno di quei momenti che riesce a far emergere il senso della comunità, ormai quasi perduto nell’individualismo e nella corsa alla soddisfazione personale a cui il nostro mondo mercificato e mercificante ci spinge.
Lo vediamo bene in queste ore, dopo che la notizia della morte di Monsignor Bettazzi ci ha raggiunto. Da sabato sera nella nostra comunità si sono zittiti i pettegolezzi, le futilità, i litigi sulle varie “emergenze” mediatiche propinate dai social e dai mezzi di informazione tradizionali e le voci si sono unite in un unico coro di saluti e di ricordi condivisi pubblicamente.
Non si legge altro. Finalmente si canta insieme lo stesso canto. Ed è consolante che il silenzio sia sceso su tutto il resto per lasciar posto al canto di addio per un uomo che ha segnato il cammino di tutti noi e con cui abbiamo avuto la fortuna di fare un bel tratto di strada, ognuno in modo diverso, non necessariamente solo come fedeli. Perché nessuno meglio di Monsignor Bettazzi ha saputo far agire l’uomo e il sacerdote in maniera armonica, equilibrata e utile alla comunità, soprattutto per il suo modo di stare sempre dalla parte dei più deboli, anche quando non era affatto “conveniente”, aggrappato alla parola di Gesù, nell’intento lucido e intelligente di renderla attuale e al servizio del nostro tempo.
Una voce, la sua, che riusciva a stagliarsi sempre forte e chiara, senza paura e senza far sconti a nessuno. Ora il nostro coro, senza la sua voce, deve cantare molto forte per poterlo raggiungere e salutare. Ed è proprio quello che sta succedendo: una polifonia potente a rammentarci la precarietà del nostro passaggio terreno e l’importanza di non perderne la traccia.
Soprattutto quella di persone come lui che è stato un vero leader, una guida, un esempio a cui tendere. La sua voce risuonerà eterna ma il suo corpo terreno lo dobbiamo salutare. Vista la sua propensione a raccontare barzellette e a fare battute di spirito, inizio il mio ricordo personale citandone una delle ultime. Pare che dopo aver saputo che il suo nome non compariva nella recente lista dei nuovi Cardinali nominati da Papa Francesco, abbia detto: “Sarà per la prossima volta”.
Il mio saluto comincia da lontano, da un maggio del 1981, quando undicenne, nella parrocchia di Vico Canavese in Valchiusella, venni cresimata dall’allora “Vescovo Luigi”, quel nome che sentivo sempre pronunciare la domenica a messa (in accordo col nostro Papa Giovanni Paolo e col nostro Vescovo Luigi osiamo dire: Padre Nostro che sei nei cieli…), che ripetevo a pappagallo e che per me sarebbe rimasto per sempre quello del “nostro Vescovo” (non ce ne sono stati altri nella mia mente e nel mio cuore), perché smisi di frequentare la Chiesa quando lui ancora era in carica. Ricordo benissimo che il “buffetto” sulla guancia di cui ci aveva parlato il parroco durante il catechismo, accompagnato dal suo tipico sguardo tra il serio e il faceto, con mia grande sorpresa, ce lo diede davvero e a me parve davvero strano, tanto che da adulta ne feci un aneddoto da raccontare alle cene tra amici.
Gli anni passarono, da valligiana scesi ad Ivrea e, tra una cosa e l’altra, la vita me lo fece reincontrare: prima a 17 anni, quando, allieva di una scuola di recitazione, ebbi l’onore di recitare Una partita a scacchi di Giacosa con lui seduto in prima fila,— c’era anche il sindaco ma per me, ancora membro attivo della parrocchia, il “Vescovo Luigi” era l’unica e vera star, vestito di tutto punto con l’abito dorato —, poi molti molti anni dopo al castello di Albiano, dove viveva ormai da vescovo emerito, tramite le persone della fraternità CISV che io avevo iniziato a conoscere e frequentare.
Al castello di Albiano, negli ultimi anni, mi è capitato di organizzare spettacoli e presentazioni di libri a cui qualche volta presenziava, dandoci sempre il piacere di ascoltare le sue parole lucide e piene di spunti interessanti (e di battute sagaci), anche se solo per un breve commento o un saluto.
Sempre grazie all’amicizia di Francesca della fraternità del CISV, al castello di Albiano ho festeggiato i miei primi 50 anni (a pochi giorni dal lockdown del 2020).
Nel giorno stesso del mio cinquantesimo compleanno sono stata invitata a pranzare lì, in amicizia vista la ricorrenza, e ho potuto godere della sua compagnia, togliendomi pure il capriccio di raccontargli di quel famoso “buffetto” e di quanto mi fosse rimasto impresso: “lo sa, lei mi ha cresimata! ” Come se fossi l’unica in 33 anni di vescovanza! Si fece una bella risata. Un’altra se la fece dopo avermi chiesto quanti anni compissi, aggiungendo qualche aneddoto dei suoi 50 anni. Poi ricordammo insieme il prete di Vico, Don Silvio, morto tragicamente alla fine degli anni ’90. Io dissi una data convintissima fosse quella giusta e lui, già quasi novanta-settenne, mi corresse l’anno con una prontezza incredibile: “era il 1999 non il 1998!”, ancora mi suona nelle orecchie quel suo simpatico accento bolognese.
Ma come, non riuscivo neanche a ricordare la data di morte del “mio” parroco, a cui ero tanto affezionata? Luigi invece la ricordava perfettamente, senza indugi. Altra grande risata sui cinquantenni smemorati e i novantenni arzilli. Fu un pranzo bellissimo, in una tiepida giornata di sole e di chiacchiere, che avrei voluto non finisse mai, ma ad un certo punto per lui era giunta l’ora del risposo pomeridiano, prima dello studio e delle letture serali.
Lo rividi altre volte: per la presentazione di un libro, per fargli conoscere un amico giornalista che voleva intervistarlo, ad una manifestazione per la pace, l’ultima volta il 7 maggio in Piazza di Città ad Ivrea, ancora a favore della pace, ma non ebbi più la fortuna di condividere con lui dei ricordi personali, come se fossimo amici, con la semplicità e la profondità di quel giorno.
Buon viaggio, Vescovo Luigi, sarà per la prossima volta.

Lisa Gino

Tutte innamorate di lui

Il ricordo che ho del vescovo Bettazzi sono i suoi arrivi in tipografia per Il Risveglio. Tutte le donne della tipografia erano innamorate di lui: del suo tono di voce,  della sua inflessione…. Poi a Ventotene è arrivato per fare a una sorpresa a noi noi ragazzini che seguivamo i malati della casa comunità che era in via Burolo. Ricordo Arrigo Miglio che ci sgrida perché non era tutto in ordine e lui che sorride, come un giovine signore e ci dice: “andiamo a fare un giro in barca “? Quel pomeriggio nella sala della parrocchia dove mangiavamo, avevano appena tolto una bara dopo il rosario, che si teneva nello stesso locale. Abbiamo apparecchiato, ci siamo dati da fare per cucinare al meglio delle nostre possibilità, e cenato tutti insieme in onore di Luigi Vescovo. Tutti felicissimi.

Cristiana Ferraro