Cercavano giustizia, ma trovarono la legge

In diciannove, tra studenti e studentesse dell’Università di Torino sottoposti/e a misure cautelari

Da oltre una settimana 19 studenti e studentesse dell’Università torinese sono sottoposti/e a misure cautelari diverse (domiciliari, divieto di dimora, obbligo di firma quotidiana in commissariato).
A loro carico l’aver contestato, lo scorso 13 febbraio, la presenza all’Università dei fascisti del Fuan (quello di Roberto Rosso, ex assessore regionale di Fratelli d’Italia della Giunta Cirio di recente arrestato con  l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso nell’ambito di una inchiesta sulla ‘drangheta torinese). Giusto quarant’anni dopo la più grande strage del dopoguerra, quella di Bologna dell’agosto 1980, paiono esserci, per la magistratura, “modi e modi” di professarsi antifascisti/e e di praticare l’antifascismo. Una pratica che può trasformarsi invece, a quanto stabilisce la procura torinese, in “azioni di un medesimo disegno criminoso”, in cui ognuno avrebbe svolto compiti precisi e premeditati con tanto di coordinatori, esecutori e sostenitori. E il monito “via via fascisti e polizia” diventa una terribile minaccia degna della configurazione legale di violenza privata trasformando, questo sì, qualsiasi istanza politica e sociale in una questione di ordine pubblico.

Il fascismo non è un’opinione, ma un reato. Non è un’idea, ma l’annullamento di tutte le idee.

Per questo semplice motivo un volantinaggio dei fascisti del Fuan (contro l’incontro “Fascismo, Colonialismo, Foibe – L’uso politico della memoria per la manipolazione delle verità storiche” organizzato, tra gli altri, da diverse sezioni Anpi), appare per quello che è: una provocazione. E per questo tanti studenti e tante studentesse, in quella occasione, hanno voluto ribadire l’opposizione ferma alla presenza dei fascisti in ogni luogo, la negazione dell’agibilità politica a chi ha, come unico scopo, la propaganda xenofoba, razzista e sessista della peggior specie. In poche parole “fare”, “praticare” antifascismo.
In una lettera aperta uno di loro, Eugenio (ora ai domiciliari a Ivrea), scrive: «Credo che ognuno dei partecipanti a partire dalla propria condizione soggettiva possa rintracciare i motivi che lo hanno spinto ad opporsi alla presenza di quei quattro fascistelli – io ad esempio ho fin da bambino avuto la tessera dell’Anpi e sono cresciuto con i racconti della resistenza dei miei nonni partigiani – ma quello che ci ha accomunato in quei giorni non è stato uno sguardo al passato bensì la volontà di combattere le contraddizioni del presente che vedono noi student* ultima ruota di un meccanismo universitario che riproduce solo precarietà ed ansia, svuotato di qualsiasi tensione verso un’elaborazione critica delle condizioni in cui viviamo e in cui il Fuan non rappresenta altro che un ostacolo alla creazione di un’università realmente adatta ai bisogni di chi la vive.
Con questa idea ci siamo mossi per dimostrare che il Fuan in università non ha alcuna legittimità.
Ricordo come tante persone che passavano casualmente per il campus durante la presenza del Fuan si siano unite al “presidio” antifascista mosse da sana rabbia e indignazione, prendendo a più riprese in giro i coraggiosissimi fascisti in fasce protetti da mezza questura torinese.
Ricordo la presenza dei vertici del campus (Ottoz e Consani) assistere impassibili mentre la polizia faceva il bello e il brutto tempo agendo in Università come fosse un cortile di proprietà della questura, cimentandosi in inseguimenti stile Rambo e arresti arbitrari degli/delle student*.
Un elemento che mi sembra importante ricordare è il totale silenzio del rettore Geuna interrotto solo dopo diverso tempo da una generica condanna della violenza: non una parola sulla presenza del Fuan scortato dalla celere autorizzata ad entrare in università dallo stesso rettore.
Si sono poi sprecate le prese di posizione e di condanna della Lega sia in consiglio regionale sia per bocca del direttore Edisu
[Ente regionale per il Diritto allo Studio Universitario, ndr] Sciretti. Proprio lui, lo stesso che circa un anno fa invocava “un po’ di scuola Diaz”, si è subito prodigato per chiedere la revoca della borsa di studio per gli antifascist*.
È vergognoso che con l’emergenza Covid-19 ancora in atto Sciretti, l’assessora all’istruzione Chiorino e compagnia, anziché preoccuparsi di ampliare i criteri per l’accesso alle borse di studio, così da rendere effettivo il diritto allo studio al tempo dell’emergenza sanitaria, fossero impegnati in estenuanti discussioni per strappare la vittoria tutta politica di revoca della borsa di studio agli student* che nei mesi passati avevano fatto dell’antifascismo non una semplice bandiera da sventolare per opportunismo ma una pratica semplice, concreta e quotidiana. Per quanto mi riguarda sto bene e sono tranquillo. Sono sempre più convinto che ciò che ha dato fastidio di quelle giornate di mobilitazioni (in cui per un momento siamo riusciti a fermare la macchina universitaria, volta solo alla produzione asettica di crediti formativi, per confrontarci su quello che in quel momento ritenevamo importante, secondo i nostri tempi e metodi) sia stata la coerenza con cui tutto è stato fatto. In un periodo in cui a farla da padroni sono i politicanti voltafaccia, le banderuole che durano giusto il tempo di una campagna elettorale, la coerenza espressa in quelle giornate non può essere accettata da istituzioni e procura. 
In questi giorni  capisco realmente cosa significa la frase “non potete fermare il vento gli fate solo perdere tempo”. Unico mio rimpianto infatti è il non poter essere al presidio dei Mulini per portare il mio piccolo contributo alla resistenza No Tav che, tra l’altro, in quanto a coerenza è una delle massime espressioni in questo paese»

 

Simonetta Valenti