Parla la ragazza vittima di aggressione transfobica a Cirié
Nel tardo pomeriggio di martedì 22 luglio, una ragazza trans di 23 anni viene accerchiata e insultata da una quindicina di persone nella cittadina di Cirié, a pochi passi da casa propria. Nonostante la a ragazza sia riuscita a sfuggire all’aggressione e la società sia istituzionale che civile si sia subito attivata in risposta all’accaduto, l’episodio, avvenuto a nemmeno un mese di distanza dal Pride di Ciriè organizzato dal locale collettivo Provincialotta, mette in luce come nella realtà di provincia le problematiche relative ai corpi non conformi rimangano radicate. Ne parliamo con la diretta interessata.
Nella nostra prima telefonata mi accennò al problema della rappresentazione mediatica di tali episodi, vogliamo iniziare da lì?
«È ovviamente positivo che di questi fatti si parli, ma andrebbe fatto correttamente. Sui giornali è uscito che sarei stata anche schiaffeggiata durante l’aggressione, cosa non vera, anche perché sono riuscita a fuggire. Ero circondata, se non fossi riuscita a sfuggire chissà se e come ne uscivo, e se quello schiaffo fosse arrivato sicuramente non si sarebbero limitati a quello. Denunciando l’accaduto mi sono esposta, e la visibilità mi dà già ansia così senza che mi debba preoccupare che i miei aggressori pensino pure che denuncio il falso. Così come quando si dice che nessuno è intervenuto, non è che sia indifferenza: era tardo pomeriggio, non c’era nessuno, chi sarebbe dovuto intervenire? Pur dando per scontato che alla base vi siano buone intenzioni, se i giornali riportano cose non vere mi mettono in una situazione di pericolo, è un atteggiamento irresponsabile».
Ci potrebbe raccontare come sono andate le cose?
«La via dove è avvenuto l’episodio è a due passi da casa mia, e ci sono spesso dei gruppetti che stazionano, a volte un po’ alterati. Passandoci mi capitavano spesso episodi di catcalling, probabilmente perché non sapevano fossi trans, quindi ero relativamente tranquilla. Il passing (abilità delle persone transgender di farsi percepire con il genere di elezione dalle persone cisgender per evitare fenomeni di transfobia ndr) ti fa vivere due vite: dove non ti si conosceva prima hai i problemi relativi alle donne, dove ti si conosce quelli della comunità lgbtquia+. Come si dice, la vita per una ragazza trans è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita: il sessismo, la transfobia o entrambi. Quel giorno incontro una quindicina di ragazzi, con in mezzo un uomo più anziano, visibilmente alterato, che già avevo visto in giro. Mentre passo iniziano a urlarmi insulti transfobici, quindi devono aver scoperto che sono una ragazza trans a un certo punto. Io allora affretto il passo, ma quello più anziano si scaglia contro di me da ubriaco, e vedo che cercano di circondarmi, ma io sono riuscita a schivarli, a superarli e a raggiungere casa».
Brutta esperienza, come ha reagito una volta al sicuro?
«La prima idea che mi è venuta è stata comprarmi uno spray al peperoncino, però dopo mi son ricordata che esiste un servizio per cui pago anche le tasse, così ho contattato i Carabinieri, che devo dire hanno agito bene: è scattato l’iter per il Codice rosso, quello che si attiva in caso di violenza di genere, e ho parlato solo con ufficiali donne, che son state molto gentili e inclusive, dandomi anche i numeri della Rete delle donne che fornisce il patrocinio gratuito. Così la denuncia è partita e le persone sono state identificate. Il problema è più cosa succede dopo».
Intende nella vita di tutti i giorni.
«Parliamoci chiaro, Cirié non fa nemmeno 20mila abitanti, le persone si conoscono e le informazioni viaggiano col passaparola, non c’è molto anonimato. Non ci vuole molto a sapere chi sono e dove passo, quindi per me in questo momento non è semplice uscire di casa per paura di eventuali ripercussioni».
Ha trovato delle soluzioni al problema, nei limiti del possibile?
«Fortunatamente a Cirié esiste una realtà come Provincialotta. Lə compagnə del collettivo si sono mosse subito per me, dandomi supporto, numeri di persone da chiamare in caso di bisogno e accompagnandomi fisicamente in giro per città. Ovviamente è un po’ come vivere sotto scorta, non è bello, ma è una fortuna che una realtà del genere esista anche qui».
Si tende a pensare che le grandi città siano più pericolose delle piccole provincie, ma la tua esperienza è diversa.
«È un luogo comune di chi ha il privilegio di camminare per strada con un corpo conforme. Seppure le città abbiano un tasso di criminalità più alto, se sei una ragazza trans, oltre all’ovvio vantaggio dell’anonimato, trovi anche molta più gente simile a te, oltre a decine di gruppi attivi a cui fare riferimento. A Torino è pieno di collettivi e associazioni, se oggi a Cirié non esistesse Provincialotta a chi mi potrei rivolgere? Okay ci sono i Carabinieri o la Rete delle donne, ma non offriranno mai il supporto che fornisce un collettivo di compagnə. A Torino la probabilità di difesa e reazione anche politica in caso di aggressione è molto più alta, qui c’è solo Provincialotta che si prende questo fardello, ed esiste da relativamente poco».
Nonostante il Pride quindi la realtà di Cirié non è scevra da queste dinamiche.
«Tutt’altro. Sicuramente una certa mentalità intollerante e retrograda permane, non solo a Cirié, ma anche in tutti i paesi ancora più piccoli che la circondano. Per fare un esempio, durante il Pride di quest’anno abbiamo trovato diversi volantini omofobi appesi lungo il percorso, vuol dire che esiste un minimo di nucleo attivo, perlomeno abbastanza da segnarsi il nostro percorso e spargere propaganda. Anche il contesto istituzionale non è certamente tra i più progressisti, e non dimentichiamoci che fino a pochi anni fa l’ospedale locale saltava agli onori della cronaca come l’unico del Piemonte col 100% di obiettori di coscienza, fatto che però diede vita al comitato per l’aborto libero, prima forma embrionale di ciò che sarebbe diventata Provincialotta».
In qualche modo il contesto problematico ha contribuito al successo del movimento insomma.
«Io faccio parte del gruppo che fondò il collettivo, che nel mentre si è espanso e fatto conoscere parecchio. Provincialotta è nata come risposta al bisogno di agire in provincia, dove il contesto è più esasperato. Un bisogno che tuttə sentivamo pesantemente, e che sentiamo ancora. Lə compagnə di Provincialotta sono vitali, si sono attivate subito per me, anche conoscendo il contesto e la necessità di rimanere anonime, e presto si muoveranno anche sul piano delle iniziative politiche. Il collettivo stesso è per me una casa, dove so che sarò sempre accolta e difesa».
Lorenzo Zaccagnini