Pubblichiamo l’intervento di Franco Giorgio sulle polemiche attorno al 25 aprile e sulla necessità di conservare la memoria storica lontana e recente.
Il 25 aprile non può essere un pretesto su cui litigare: se ci si contende la festa della Liberazione si fa il gioco dei neo-fascisti, si fa il gioco di chi sostiene, non avendo altri argomenti, di ritenerla divisiva, svuotandola del suo significato originale. Attenzione a malcelare il fascismo questo permette di annacquarne il contraltare, l’antifascismo, uno dei perni della Costituzione. Dove andiamo a finire cosi?
In Italia c’è da tempo un fascismo malcelato e oggi governa il Paese. Il tappeto sotto cui si è nascosta negli anni la polvere del regime è diventato troppo piccolo per contenerla. Come siamo arrivati a spogliare, decontestualizzare, strumentalizzare e violentare il 25 aprile definendolo una “festa divisiva”? Scappando dal passato, ignorandolo a tratti, come si fa con un trauma. Ormai l’anniversario della Liberazione dalla dittatura nazifascista è diventato uno scontro di due poli, tra chi ha rielaborato in maniera differente un vissuto che dovrebbe essere comune. La storia si è fatta memoria, quindi interpretabile, e il passato è diventato strumento del presente. Ora l’Italia vive con ambiguità e trauma il rapporto con la sua dittatura ventennale.
I concetti tossici e propri del regime fascista si sono gradualmente insinuati come un virus nel discorso pubblico italiano, mimetizzati da un passato che sembrava troppo lontano per poter tornare a galla. L’ossessione della lingua, la lotta al diverso, le restrizioni sulla cittadinanza e il concetto etereo di italianità sono tutti capisaldi del regime fascista. Adesso si prova a restringere i “troppi diritti”, combattendo “il forestiero”, diverso e globale per esaltare il concetto di “italianità” nazionale.
Alcuni esponenti del govero Meloni hanno mostrato il loro fascismo malcelato con dichiarazioni incredibili, ma quando questi sentimenti emergono vengono accompagnati sempre da un “sì, non sono fascista, ma..”, che subito mette sotto il tappeto le nostalgie del passato. Si può pensare sia una debolezza, quella di essere fascisti senza volerlo ammettere, ma tenerlo seminascosto gli dà forza, e a furia di sussurri lo fa percepire come sempre meno deprecabile. Alla fine, un sussurro è solo un sussurro, non può essere mica pericoloso.
La memoria va elaborata e la storia condivisa, anche perché i testimoni stanno sparendo, per ragioni fisiologiche. Perché stravolgere tutto pur di non affrontare il passato? Anni fa, per esempio, Meloni propose di eliminare il 25 aprile e il 2 giugno per sostituirli con un’altra data di festa nazionale: il 4 novembre, l’anniversario della vittoria nella Grande guerra. Nel 2020, Ignazio La Russa propose invece di trasformare il 25 aprile in una data da celebrare in memoria dei caduti di tutte le guerre, “compreso il ricordo di tutte le vittime del coronavirus”.
Negli anni si è fatto di tutto per banalizzare il 25 aprile. È ormai chiaro che per una parte della destra italiana non è pacifico accettare l’antifascismo come parte della propria identità nazionale. Si è arrivati a definire il 25 aprile, l’anniversario della liberazione da un regime, una festa “divisiva”. Il 25 aprile si festeggia perché l’Italia in quella data voltò pagina, dopo 21 anni di regime totalitario.
Consiglierei quindi ai rappresentanti della Comunità Ebraica eporediese di evitare di dividerci e di sforzarci di leggere le cose come stanno. Non ci sono “puri e meno puri” chi oggi condanna il governo di Israele non è antisemita non sta condannando la comunità ebraica. Usare il termine “antisemitismo” in modo strumentale, per attaccare in modo pretestuoso intellettuali, autori e persone che criticano non gli ebrei come gruppo etnico, ma il governo israeliano è un errore. Chi avrà l’onore di portare il proprio contributo alla ricorrenza di Lace non può essere targato come portatore di un’idea di parte ma sta da una parte sola la Resistenza!!
Franco Giorgio