Per affrontare le grandi sfide del presente e del futuro non si possono prendere scorciatoie, che vanno bene per la propaganda, ma bisogna imboccare la via maestra della Costituzione.
E’ partendo da questo convincimento che è stata indetta, da un centinaio di associazioni e movimenti, la manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma, intitolata appunto La via maestra. Ad oggi sono previsti due cortei, che porteranno a San Giovanni quella parte d’Italia che non sopporta lo scardinamento dei diritti civili (art. 3), e che lotta per la piena realizzazione del diritto al lavoro ( articolo 1, 4 e dal 35 al 40), per il mantenimento della sanità pubblica (art. 32), del diritto allo studio (artt. 33 e 34) e per la condanna a tutte le guerre (art. 11).
Ma perché ritornate a Roma? A fare cosa? Non credete che sia inutile, quante volte ci siete andati negli ultimi anni? Queste sono le domande che si ricevono, quando, come in questi giorni, si invitano nostri conoscent*, amic* e compagn* a venire con noi alla manifestazione. Domande retoriche a cui non serve rispondere, perché in esse vi è già implicitamente contenuta la risposta degli interlocutori, i quali hanno la considerazione di riserva, il piano B, che dovrebbe chiudere ogni discorso: si, ma andare a Roma è molto faticoso, non potrei reggere le notti in pullman e neanche in treno. Questa è un’obiezione molto più sensata, specialmente se si tratta di persone non più giovanissime, che merita attenzione, per la quale bisogna astenersi da forzature.
Però, a chi, anche se non ha un fisico bestiale, potrebbe reggere il viaggio e il corteo, si potrebbe replicare, tra il serio e lo scherzoso, che stare ore davanti al televisore a seguire talk-show, la compagnia di giro di cui si sa già tutto, è, quella si, un’ impresa al limite della sopportazione.
E poi, prestando attenzione a non offendere nessuno, si potrebbe far presente che anche piangersi addosso per il ritorno del fascismo, dirsi all’interno delle riunioni che è ora di mobilitarsi, e perfino stigmatizzare rossi in faccia comportamenti politici e governativi inauditi, sono tutte situazioni già viste e sentite, esercizi, questi si, veramente inutili se poi ciascuno degli indignati si ritira nel suo privato.
Indignarsi ha un senso se si trasforma in una reazione condivisa, pubblica, coinvolgente, rumorosa ma non violenta. Per giustificarsi, amic* e compagn* ci dicono che parteciperanno con la mente e con il cuore. Che è un’ ottima adesione, ma noi aggiungiamo che metterci la schiena, le gambe, l’intero corpo è ancora più efficace. Non può essere migliore, ottimo è già un superlativo, ma è qualcosa di altro, di intimo, forse si spinge oltre la Politica, bisognerebbe sentire i Sociologi per domandare loro se non sia una mozione morale, come ci dicono che sia la risposta dei francesi che li spinge per giorni a protestare anche violentemente.
La Storia è proprio una materia complicata, che quasi sempre viene compresa dalla maggioranza delle persone quando si è compiuta realizzando i suoi disegni, mentre un’esigua minoranza alza la voce inutilmente per mettere in guardia dai pericoli ed inevitabilmente viene tacciata di catastrofismo o di portare sfortuna. Ma la Storia è anche un sentimento, perché serve a connettere il passato col presente, rivoltando continuamente la clessidra quando il flusso dei piccoli granelli di sabbia che sono gli uomini e le donne, gli animali, la natura ha svuotato l’ampolla superiore.
Il 7 ottobre sarà una giornata che passerà alla Storia, come il 25 aprile 1994 a Milano sotto la pioggia, o il 23 marzo 2002 al vento del Circo Massimo, per citare solo le prime date che abbiamo vissuto da protagonisti? Ci saranno altri modi per opporsi all’esistente, si arriverà forse allo Sciopero generale, ma intanto questa è un’ occasione che abbiamo nelle mani, o è il caso di dire, fra i piedi.
E allora, anche per verificare che siamo ancora capaci ad opporci, perché non prendere a prestito un interrogativo importante: Se non ora, quando?.
Vale la pena ricordarsi del consiglio col quale Italo Calvino chiude Le città invisibili: “L’ inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’ inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
I lettori di varieventuali appartengono sicuramente a questo secondo modo di approssimarsi alla realtà, e sanno che questo far durare e dare spazio al non inferno può passare anche da una notte su un pullman o su un treno per Roma, dove ritroveremo la voglia di continuare o di ricominciare. O solo il piacere di esserci. Insieme.
Luciano Guala