Caro ƒz di Varieventuali,
ho letto con attenzione la tua critica alla decisione della concessione del patrocinio alla memoria di Norma Cossetto in cui sostieni che questo genera una crepa di consenso con la base sociale e culturale della maggioranza attualmente in Comune a Ivrea.
Non credo, contrariamente a quanto hai scritto, che questa scelta metta qualche inciampo nel percorso della maggioranza d’Ivrea, né che ne diminuisca il consenso. Provo a spiegarmi.
Quel patrocinio è un atto dovuto per una vittima la cui storia tragica, in una fase di guerra civile e in una zona di confine, non può essere presa come esempio per esprimere un giudizio sul movimento di liberazione italiano e jugoslavo.
Certo, hai ragione, è una trappola se a presentarla è un ex di Casapound ora passato in quel rifugio di pezzi di nuova destra che è la Lega. Ma se di trappola si tratta allora siamo proprio sicuri che le si sfugga riproponendo lo stesso vigore ideologico di chi da tempo fa del revisionismo storico la giustificazione per un rinnovato fervore neo fascista?
Mi sono tornate in mente, leggendo tutti i vari documenti che riguardano questa vicenda, le parole che pronunciò Franco Fortini quando lo invitammo a parlare di Letteratura e Resistenza nel 1993, a 50 anni dall’inizio della lotta partigiana, esperienza a cui il poeta e saggista prese parte.
Avevo poco più di vent’anni, allora, e con altri ero alla ricerca di punti di vista che ci spiegassero come fosse stata possibile l’involuzione della società che registravamo quotidianamente.
Fortini, durante una assemblea sulla guerra in Iraq del 1991, ci disse che era a disagio a intervenire perché non si poteva banalizzare la storia delle sconfitte dei movimenti e delle organizzazioni che vollero trasformare la società e renderla più giusta e equa, lottando perché venisse l’ora in cui l’uomo sia d’aiuto all’uomo. Per due anni ci incontrammo con lui in una casa privata in circa 20 ragazze e ragazzi, ripercorrendo la storia recente d’Italia attraverso il libro di Paul Ginsborg, ma, soprattutto, attraverso la testimonianza di un intellettuale che attraversò tutti i momenti cardine del ‘900.
Quando poi lo invitammo al seminario che organizzammo in Università Statale a Milano nel 1993 per indagare la lotta di liberazione dai nazi fascisti, visto che si trattava di una serie di incontri con storici e testimoni quali Claudio Pavone, Cesare Bermani, Gino Vermicelli e molti altri, chiese che gli portassimo a casa per ascoltarli tutti i nastri delle cassette degli interventi.
Quando toccò a lui parlarci espresse un giudizio storico, politico, letterario e esistenziale tratto dall’ascolto di tutti gli interventi che, se vuoi, puoi trovare sbobinato nella pubblicazione Conoscere la Resistenza che pubblicò Unicopli.
Alcune delle cose che disse echeggiano in me mentre leggo di questa polemica eporediese e te le riporto in parte.
«Sono assolutamente persuaso che i discorsi che voi avete ascoltato da parte di quelli che mi hanno preceduto, e di cui ho ascoltato le registrazioni fino alla notte scorsa, siano validi e in particolare sono convinto che si debba mettere velocemente un piede sulla gola della retorica».
E ancora: «Resta il fatto che mentre la Resistenza si allontana come la campagna di Russia di Napoleone o come lo sbarco dei Mille, diventa un qualche cosa in un certo senso inafferrabile, rimane un tipo di dimensione, per dirla volgarmente, esistenziale che è assolutamente eccezionale nella storia italiana, nella cultura italiana del nostro secolo». «Vi esorto a leggere la memorialistica e la diaristica, più che che i romanzi e le poesie. Solo lì viene trasmessa quella immediatezza che vi pone delle domande terribilmente serie».
E di domande serie ne abbiamo molte da farci, domande che ci pongono , spesso in modo silenzioso, i giovani di oggi. Tra queste vi è certamente la questione che riguarda i nuovi pericoli autoritari ammantati di tecnicismo e giustificati dai rigurgiti nazionalisti e guerrafondai che richiamano la violenza e le dittature fasciste (prima) e naziste (poi).
Ma se il pericolo è questo, e la trappola tesa, come dici tu, quasi da cartone animato, è evidente, allora forse è sensato scindere gli aspetti esistenziali delle vicende storiche di 80 anni fa, che ci servono e serviranno perché l’uomo sia d’aiuto all’uomo, da quelli politici che paiono reiterare retoriche incomprensibili ai più.
Non credo che questa vicenda comprometta la spinta progressista – e dovremmo anche discutere di cosa sia oggi progresso – della maggioranza di Ivrea, anzi, il non cadere nella trappola ideologica riporta la dimensione antiautoritaria e antifascista sull’oggi e, soprattutto, sul domani, scartando la retorica dello ieri.
Tutti noi dobbiamo rispondere a chi ci sarà domani, non solo la maggioranza del Comune d’Ivrea, questo è quello che mi insegnò Fortini 30 anni fa.
Con affetto.
Ettore Macchieraldo
Caro Ettore,
innanzitutto invidio la tua esperienza con Franco Fortini dalla quale però non traggo, almeno da quanto qui riporti, alcuna indicazione che giustifichi in qualche modo l’opportunità (e men che mai “un atto dovuto”, come scrivi) della concessione del patrocinio della Città di Ivrea a un’iniziativa che è proposta, come peraltro riconosci, da “chi da tempo fa del revisionismo storico la giustificazione per un rinnovato fervore neo fascista”.
Se questo è evidente e riconosci che di “trappola” si tratta, la tua domanda “siamo proprio sicuri che le si sfugga riproponendo lo stesso vigore ideologico?” somiglia molto (consentimi l’alleggerimento) a “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” (del Moretti di Ecce Bombo). Un quesito che si ripropone sempre in occasioni di iniziative di questo tipo, comunque mascherate.
Forse l’iniziativa, senza l’intervento dello storico Eric Gobetti, dell’ANPI di Ivrea e della Valle Elvo di Unione Popolare e di questo giornale, sarebbe passata inosservata, come è accaduto negli anni scorsi col patrocinio della Giunta Sertoli?
Può darsi, ma così non è stato e non è.
Banalmente perché, come sai, non “fa notizia” che un cane morda un uomo mentre la fa il contrario. E stupisce ovviamente che un’amministrazione antifascista dia il patrocinio (cioè, da vocabolario, una forma simbolica di adesione o almeno una manifestazione di apprezzamento) a questa iniziativa perché sarebbe «un’occasione di confronto e di scambio di conoscenze, con il fine di sensibilizzare verso l’importanza della memoria di avvenimenti storici accaduti ed educare ai valori di pace, al riconoscimento e al rispetto della diversità e della dignità di ogni individuo», come si legge nella delibera.
La tua esortazione è quella di “scindere gli aspetti esistenziali delle vicende storiche di 80 anni fa”, ma puoi credere veramente che questo sia lo spirito dei “Comitati 10 Febbraio”?
Ora, comprendo che per sostenere l’attuale amministrazione di Ivrea, ci si possa avventurare in ragionamenti complessi, avallare ricostruzioni storiche discutibili, avanzare dubbi e (gioco perverso e suicida, ma di moda da tempo) rifiutare i confronti “ideologici”.
Resta il fatto che una manifestazione dal chiaro intento politico e ideologico, viene patrocinata da un’amministrazione comunale antifascista.
Ma ciò che più personalmente mi preoccupa è, in chiusura della tua lettera, il passaggio nel quale scrivi che la scelta dell’amministrazione “riporta la dimensione antiautoritaria e antifascista sull’oggi e, soprattutto, sul domani, scartando la retorica dello ieri.”
Ma esiste un oggi e un domani senza uno ieri? E perché sarebbe “retorica” solo quella dello ieri e non parimenti dell’oggi e del domani?
Sono invece pienamente d’accordo quando affermi che «tutti noi dobbiamo rispondere a chi ci sarà domani, non solo la maggioranza del Comune d’Ivrea», ed è proprio per questo che sono intervenuto su questa vicenda: perché la risposta del Comune di Ivrea non sia anche la mia e di (tanti o pochi?) altri.
Con immutata stima e affetto.
ƒz