Intervista alla Vicesindaca Patrizia Dal Santo sulla gestione del disagio mentale in una comunità
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Una donna senzatetto, con problemi psichiatrici, nel mese di agosto dà fuoco prima a un’isola ecologica vicino piazza Ferruccio Nazionale e poi a un cassonetto in via Quattro Martiri. Sotto i portici di piazza Ottinetti dormono da tempo tre uomini, avvolti in cartoni e coperte. Poco lontano, nel cortile del Museo Garda, in estate prendono vita iniziative culturali e rassegne estive che “convivono” con scelte di vita lontane dalle nostre, ribadendo un’idea di accoglienza e tolleranza che questa città non ha mai abbandonato. Ma non basta, è evidente.
Abbiamo chiesto a Patrizia Dal Santo, vicesindaca con delega, tra le altre, alle Politiche Sociali come il Comune affronti episodi come questo, in un’ottica di attenzione al disagio e alla sofferenza.
Rispetto a casi come questo, dove il disagio può anche portare a problematiche di tipo psichiatrico, le considerazioni da fare sono due.
La prima nell’ottica dell’urgenza, in quest’ultimo caso gestita a mio parere molto bene dal Sindaco e, insieme, dalle forze dell’ordine e della psichiatria. L’obiettivo deve essere la tutela della comunità. Questo perché, purtroppo, esistono azioni che possono ledere la comunità (in questo caso e per fortuna non abbiamo avuto danni a persone). Se, ovviamente, le forze dell’ordine non possono procedere a un arresto deve esserci però un intervento sanitario tempestivo, con un ricovero nel migliore dei casi volontario o (estrema ratio) obbligatorio.
E poi dobbiamo pensare alla persona, al recupero di tutto quanto è possibile recuperare delle risorse di queste persone immaginando il traguardo di una convivenza civile e di un vissuto più sereno loro e di chi sta loro intorno.
Come? Mettendo in atto azioni sia preventive sia a loro beneficio e tutela. E qui il campo è molto più difficile perché occorrono risorse che al momento non ci sono.
A cosa stiamo pensando in concreto? Insieme all’ASL stiamo lavorando per ottenere una presenza sullo stile della casa di comunità di Vistrorio, dove si sta sperimentando la figura dell’infermiere di comunità e di altre figure presenti tutti i giorni e per tutto il giorno. Dove cioè non si aspetta che le persone vadano ai servizi (perché se così fosse avremmo già risolto il problema!) ma dove i servizi vanno a loro.
Quindi è necessaria una presenza costante sanitaria, sociale ed educativa sul territorio che abbia gli strumenti per seguire quotidianamente queste persone. Faccio un esempio su mille: se una persona esce da un ricovero chi controlla che assuma la terapia prescritta?
Insieme, vogliamo aprire un confronto con la psichiatria e con chi si occupa di malattia mentale per vedere se possiamo insieme trovare le risorse che in questo momento a loro mancano e ottenere un rinforzo delle figure che oggi sono carenti, ma indispensabili per, come dicevo prima, avvicinare queste persone, ripotenziarne le capacità residue e lavorare a un progetto di vita.
Altra è la questione dei senzatetto, di cui abbiamo esempi anche in centro città, la cui situazione riguarda questioni quali la casa e l’abitare, varie e complesse.
Esiste già una progettualità a riguardo, possibilità di sussidi e interventi in campo, ma vanno riprese in mano per creare un “sistema sull’abitare”. Un sistema che, da si occupi di case popolari con un confronto con ATC; sono moltissime le case non disponibili perché necessitano di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Non dimentichiamo che esiste un problema di emergenza abitativa che riguarda anche famiglie “normalissime” che si trovano con sfratti incombenti o già avvenuti. Oltre a un problema di emergenza abitativa per persone più fragili. Le risposte sono diverse, queste ultime hanno bisogno di coabitazione o di spazi ampi perché coabitare non possono o non riescono; una coabitazione che deve essere comunque “seguita.
Come Comune e insieme al Consorzio ci stiamo attivando con progetti che decolleranno quest’autunno; serve però appellarsi alla comunità tutta perché le case presenti e vuote vengano messe a disposizione, naturalmente prevedendo fondi di garanzia e di tutela.
Questo anche nell’ottica di dare supporto e aiuto a chi già se ne occupa, come Caritas, Circoli Virtuosi (ex Casa di Abramo), che garantiscono ottimi interventi purtroppo non sufficienti.
E poi c’è chi sceglie di vivere “senza un tetto”. Qui sarebbe interessante individuare delle zone dove piazzare tende o comunque spazi aperti, ma con un minimo di servizi.
Ma anche in questo caso è indispensabile la presenza e il lavoro di un educatore che “conquisti” la fiducia e il rapporto con queste persone per accompagnare una scelta che non può e non deve essere imposta, ma offerta come possibilità.
Simonetta Valenti