Intervento di Andrea Morniroli del Forum Disuguaglianze Diversità
Lo sapevamo da mesi che la destra avrebbe vinto e vinto tanto, ma quando poi la profezia si concretizza non riesci a essere preparato. Non hai nell’immediato la forza e anche la tranquillità per fare i conti con una vittoria che non è una novità per il paese (questa coalizione di destra ha preso meno voti di quella del ‘94), ma in questo caso ad avere la guida e la maggioranza assoluta al suo interno sono le componenti più radicali e sovraniste.
E, ancora, una vittoria che avviene in un momento storico tra i più gravi vissuti dal Paese: provato dai due anni di pandemia in cui le disuguaglianze e le povertà si sono allargate e aggravate; fortemente preoccupato per la guerra alle porte di casa con il forte rischio che il conflitto diventi sempre più vasto e incontrollabile, oltre che fattore di possibile frammentazione della comunità europea.
E, ancora, dentro una crisi sociale, economica, energetica che rischia di determinare diffusi conflitti sociali e la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Tutto questo in un quadro dove le forze di opposizione da un lato appaiono frammentate, fragili e divise. D’altro lato poco autorevoli e credibili perché in questi anni non hanno arginato e a volte sono state artefici delle politiche liberiste che hanno alimentato povertà e disuguaglianze (per fare un solo esempio, negli ultimi due anni hanno portato i 50 più ricchi del Paese ad accumulare quasi 70 miliardi in più di ricchezza mentre contemporaneamente, come ci ha detto l’Istat, aumentavano di circa 1 milione le persone in povertà assoluta), privatizzato i servizi pubblici, tolto potere al lavoro spingendo migliaia di lavoratori e lavoratrici in condizioni di lavoro povero, precario e sfruttato.
Una sinistra, che soprattutto nel suo partito più consistente, quasi sempre appare incapace di parlare con le persone e, soprattutto e per paradosso, con quelle che fanno più fatica o abitano i margini sociali e geografici del Paese. Appare più attenta ai centri, ai garantiti, facendosi stato e rivendicando responsabilità, perdendo cosi una visione più radicale di cambiamento, finendo per annoiare e non determinare emozioni e quindi neanche appartenenza.
In altre parole, anche la sinistra, chiaramente con le dovute eccezioni, troppo spesso sembra fare parte di quelle élites di cui ieri ha scritto Aldo Bonomi sulla rivista “Vita”: “Le élites pensavano di traghettare dolcemente una traversata nel deserto dovuta alle tre grandi crisi, pandemia, guerra, e disastro climatico, avviando la transizione ecologica e digitale, ma queste elezioni certificano l’incapacità delle élites stesse di produrre egemonia culturale e tranquillità sociale. Soprattutto, incapaci di stringere un’alleanza con tutte quelle realtà che, in questi anni, si sono messe in mezzo tra penultimi e ultimi. Così sono rimaste dentro la loro bolla non capendo le trasformazioni e i bisogni sociali”.
Ma alla vittoria della destra e alla preoccupazione di avere un’opposizione frammentata e divisa, sconnessa da quello che si muove nella società, si somma l’altro grande sintomo che segnala il cattivo stato di salute della nostra democrazia: l’astensionismo.
Dodici milioni di elettori che non si sono presentati all’appuntamento con le urne. Sei milioni di votanti in meno alla Camera rispetto al 2018 e quattro milioni in meno per il Senato, nonostante l’iniezione dei 18-24enni che per la prima volta potevano votare per scegliere chi mandare sugli scranni di Palazzo Madama.
Record negativo dell’affluenza: 63,9%, nove punti in meno rispetto al 2018, con un calo ancora più netto al sud (qui il calo si attesta intorno al 13% rispetto alle precedenti politico). In più, molta parte dell’astensione è coincidente con le aree di maggior povertà. Basta sovrapporre le mappe che segnalano la diffusione e la concentrazione dell’astensione e quelle della aree di popolazione in condizione di povertà e che vivono nelle aree del forte disagio.
Si conferma, insomma, che chi è povero e si sente ai margini non crede più da tempo che le sue fatiche quotidiane, il suo senso di precarietà e assenza di futuro, le sue aspirazioni siano oggetto di qualche interesse da parte della politica. Inoltre, come abbiamo sottolineato con il Forum Diseguaglianze e Diversità, l’astensione e in parte anche l’esito del voto sono il frutto di un divario profondo fra la vivacità del Paese e la sua traduzione nella politica organizzata; una distanza in termini di contenuti e proposte, che già emergeva dalla lettura dei programmi elettorali come nella campagna elettorale dove i partiti quasi mai hanno parlato delle proposte dei loro stessi programmi o si sono confrontati con le realtà sociali e del lavoro, con cittadine e cittadini.
E mai hanno comunicato entusiasmo e speranza, scaldato gli animi. Affidandosi, invece, a simbolismi e immagini logori, paure, minacce, lusinghe.
Esiste, per dirla ancora con il ForumDD, un divario impressionante tra i partiti e la capacità e il coraggio di visione, le pratiche, il metodo, le proposte di migliaia di esperienze del paese.
Nei campi dei servizi fondamentali, della cura delle persone e dell’ecosistema, dell’organizzazione e dignità del lavoro, dell’estro imprenditoriale, dell’uso giusto del digitale, della tutela dei diritti civili e della lotta a ogni forma di discriminazione e razzismo, rappresentano i mattoni di uno sviluppo mirato alla giustizia sociale e ambientale con al centro le persone.
Sono l’espressione di soggetti e forme assai diversi dell’impegno civico, dei movimenti, dell’auto-organizzazione sociale, del lavoro, dell’impresa e dell’impresa sociale. Sono contesti solidali e investimenti sulle capacità delle persone in grado di riattivare in loro desideri, aspettative e progettualità e quindi anche economie e coesione.
Ma, al tempo stesso, anch’esse sembrano avere un limite, quello che non riescono, almeno in modo diffuso, a generare politica organizzata capace di tradurre i sentimenti della società in politiche e azioni. Ed è qui la sfida da percorrere nei prossimi mesi. Provare a promuovere un percorso, a offrire spazi di servizio e incontro, che accompagni tale patrimonio di idee, talenti e pratiche in un processo aggregativo.
In un flusso accogliente di reciproco riconoscimento che consenta di superare diffidenze, di connettere punti e nodi dei diversi specifici, di costruire in modo condiviso proposte competenti e radicali capaci per densità di costringere la politica a occuparsene e a confrontarsi con esse.
Non è una sfida per soli scienziati politici o tecnici del consenso.
Deve partire dal basso, dai luoghi e dai territori, mettendo insieme competenze e culture differenti. Serve assumere la prospettiva di genere e dei femminismi come sguardo trasversale al fare insieme perché non si può avere uno sguardo neutro nella lettura della complessità e del cambiamento in cui siamo immersi. Ed è in questa direzione che il Forum Disuguaglianze e Diversità continuerà a lavorare con ancor più forza, per sviluppare e diffondere proposte serie e radicali di cambiamento e per svolgere sempre più un’essenziale funzione di formazione mirata a sostenere e fare incontrare quegli attori del cambiamento che sul territorio continuano a produrre alternative al modello liberista.
Continuando a utilizzare il piano delle alleanze come strategia trasversale al proprio fare. Per amalgamare e fare alzare la voce in modo corale a tali mondi, come avverrà il prossimo 5 novembre alla manifestazione Non per noi ma per tutte e tutti; promossa dal Forum insieme a più di 600 soggettività di movimento, dell’auto-organizzazione sociale e del mutualismo, del mondo sindacale.
Insomma, per favorire quel partito di giustizia sociale e ambientale che oggi non c’è, così come per dialogare con gli eletti e le elette in Parlamento che hanno un disegno di cambiamento. E’ un campo largo, questo sì, fertile e radicale che può fare la differenza.
Andrea Morniroli – coordinatore Forum Disuguaglianze Diversità