L’addio a don Beppe Scapino

Nella prima vera giornata di pioggia autunnale, sabato mattina, è stato salutato don Beppe Scapino, un parroco, uno studioso, un sociologo, formatosi nella prestigiosa università di Lovanio, un direttore di giornale, un grande e poliedrico lettore e tanto altro.
Nei ricordi di sabato, è emerso, soprattutto, il pastore che, per decenni, ha accompagnato (guidato, sarebbe riduttivo) una comunità giovane e complessa che si è formata nell’ultimo quartiere nato a Ivrea, San Giovanni.
Don Beppe ha sempre avuto in sé, mai disgiunte, la figura del pastore, attento e partecipe e quella del profondo studioso, interprete, per formazione, della realtà sociale (ecclesiale e politica). Un cammino, lo ha ricordato mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, che per precisa richiesta di don Beppe ha presieduto il suo funerale, cominciato a Lovanio, quando trascorreva i fine settimana nelle parrocchie di lingua fiamminga, proseguito quale suo segretario nel periodo più delicato della storia italiana, con lo spartiacque del rapimento Moro e dell’uccisione di tutti gli uomini della sua scorta, proseguito ancora con il delicato incarico di cancelliere vescovile e di parroco nella nuova e nascente parrocchia di San Giovanni, con le messe negli androni dei condomini, in attesa della nuova chiesa parrocchiale, lo sforzo costante e totale teso a fare in modo che gli abitanti del quartiere si sentissero parte di una comunità, attento sempre al dialogo e al confronto, come anche la presenza di una rappresentante della Chiesa evangelica valdese al suo funerale, emblematicamente testimoniava.
Intanto, il nuovo incarico alla direzione de Il Risveglio Popolare, succedendo a don Michele Ferraris, che già da tempo lo aveva voluto autore di una seguitissima (ben al di fuori dei confini eporediesi) “Nota politica”, dove, in modo immediato, venivano immediatamente in evidenza i suoi studi: asciutta, chirurgica, chiara, netta che faceva comprendere, da un lato, la complessità del momento e, dall’altro, dava gli strumenti di interpretazione dei fatti e degli avvenimenti della settimana. Una chiarezza e un’asciuttezza (e una laicità) di lettura che aveva voluto fosse caratteristica di tutto il giornale, il cui editore era la diocesi, certo, ma che voleva essere strumento di lettura e comprensione di un territorio.
Anche per questo molti non condivisero e non compresero la scelta di rimuoverlo, nel 2002, dalla guida del giornale. Andare a rileggere il suo saluto ai lettori dà un’ulteriore sfaccettatura di don Beppe, la lealtà, altra caratteristica ricordata al suo funerale. Lealtà che non significa obbedienza cieca, anzi, una lealtà che, per usare un termine squisitamente ecclesiale (ma che rende perfettamente l’idea da dare al significato di lealtà) si concretizza nella parresia, e cioè nel diritto, anzi, nel dovere, di dire la verità, sempre. La bussola ispiratrice del lavoro giornalistico (e non solo, verrebbe da dire) di don Beppe, la ritroviamo ancora nel suo ultimo editoriale, proprio nel 2002: “la filosofia alla base di questo lavoro era quella di fare un giornale ispirato da valori cristiani ma che si avventurava in territori aperti e cercava di essere attento al proprio territorio e al mondo più ampio”.
Don Beppe si è avventurato in territori aperti e ha insegnato molti ad avventurarvisi senza paure o pregiudizi. Ora è ritornato polvere alla terra, così com’era prima, e il soffio vitale tornato al Signore, che lo ha dato (Qo, 12, 7) per parafrasare una delle due letture bibliche ascoltate al suo funerale.

mr