Scuola. La fatica di Sisifo

Alzi la mano chi vorrebbe fare il preside in tempi di Covid… Nessuno?  E il responsabile dell’orario di almeno 100 professori a botta? Nessuno?  Invece sono ottimi viatici contro la noia.

SETTEMBRE

Si comincia a settembre, con le scuole aperte ma in sicurezza, parola d’ordine.
Allora, se sei un dirigente che fa le cose per bene (se no puoi pure fare spallucce, i controlli essendo molto più italiani del virus), ci lavori su tutta l’estate e ti attrezzi: orari di entrata intervallo e uscita scaglionati e con ingressi differenziati, percorsi sicuri – a senso unico – all’interno dell’edificio, distanziamento, distribuzione di mascherine e liquido disinfettante, misurazione della temperatura, segnalazioni di assenze in costante contatto con le famiglie, allestimento di una stanza attrezzata per assistere e isolare chi si sentisse male, sanificazione continua sia dal personale ATA sia dai docenti che detergono la cattedra dopo ogni lezione, spostamento online di tutte le riunioni, i collegi e i colloqui con le famiglie.
E così si procede: con qualche timore, di tanto in tanto allarmi per lo più infondati, pettegolezzi su falsi contagi di gruppo (ripresi perfino da qualche pennaiolo di provincia!), ma si procede.

OTTOBRE

Un mese e mezzo – ogni giorno guadagnato e conquistato anche contro lo scetticismo – e arriva un contrordine, il primo.
A scuola al 50%, qualunque cosa voglia dire.
Può voler dire spezzare le classi in due e stare in aula con metà studenti, in collegamento con l’altra metà a casa in DaD (Didattica a Distanza).
Perciò c’è da arrangiarsi a rabberciare la linea che fa pietà, c’è da spostare nei corridoi i banchi non utilizzati per riorganizzare gli spazi, da creare in ogni classe due gruppi abbastanza omogenei accogliendo e organizzando informazioni e suggerimenti dei coordinatori, verificare che tutti gli studenti siano attrezzati a dovere per seguire da casa senza massacrarsi gli occhi – qualche dirigente richiede e ottiene notebook e chiavette per la connessione da dare in prestito d’uso a chi ne ha bisogno –, rielaborare orari e pianificare una didattica adeguata alla DaD.
E così si parte, con fatica e maledicendo i pessimi collegamenti che fanno “crashare” i ragazzi in continuazione, ma si parte.

OTTOBRE BIS

Per un giorno, perché arriva il contrordine, il secondo.
In presenza al 25%, qualunque cosa significhi.
E significa un bel pasticcio, per esempio ritornare alla DaD dell’anno scorso con qualche sprazzo di ritorno alla realtà – vedersi, parlarsi, umanizzarsi – durante qualche pomeriggio, messo lì come una boa cui aggrappare il lavoro da casa: fare “il punto” per qualche prof, interrogare per altri, o anche organizzarsi o semplicemente reinventare una comunicazione che si va perdendo.
A ridaije con l’orario, che è tutto da ripensare, inclusi quei pomeriggi ambitissimi da distribuire.
Ed ecco una novità: il commercio, lo scambio dei pomeriggi sulle chat dei professori. “Io avrei bisogno di due ore mercoledì prossimo, chi me le dà in cambio del lunedì successivo?”; “te le do io, a me servono proprio quel lunedì”; “ho assolutamente bisogno di un pomeriggio in più con la quinta, qualcuno me lo può passare?”; “ te lo regalo io, che tanto arrivo dalla Val D’Aosta e il pomeriggio pullman non ce ne sono”… Ci sono quelli, i più veloci, che si danno all’accaparramento e poi inviano faccine impertinenti su whatsapp.

NOVEMBRE

Due giorni.
Tanto dura il periodo 25%: un vero spreco, con tutti quei pomeriggi arraffati gettati alle ortiche. E il tempo di chi ci ha lavorato snobbato come non fosse vita.
Si ritorna alla DaD permanente, 100% dalla seconda media in su.
Rifare l’orario, riorganizzare la didattica, ridiscutere i regolamenti, iscriversi ai webinar – veri trionfatori dell’era Covid – per imparare cose nuove e mirabolanti sulle magnifiche sorti e progressive delle lezioni a distanza, riunirsi in collegio, in dipartimento, in consiglio, in colloquio con le famiglie affrante, e sempre in pantofole.
Rieccoci davanti a uno schermo, molto più preparati dell’anno scorso ma con i ragazzi che, rassegnati a un sopore organizzato, reagiscono con fatica, spesso con dolore, sempre sopraffatti dal tedio.
Si riprende a sciancarsi sulla sedia da mane a sera, nella illusoria volontà di fare di più, di non allevare una “generazione covid” malata di ignoranza, di trovare la tecnica che… hop, ti faccia scoprire che si può fare, che il trucco c’è basta scovarlo, che non tutto è perduto.
E riprendono i messaggi con i colleghi: tu che fai? Interroghi? Vai avanti o ti fermi? Quante verifiche? Hai materiale su Boccaccio? Visto il documentario sulla plastica? Mi passi il video sulla migrazione? Chi si iscrive al corso sulla grammatica italiana?

GENNAIO

Si torna, dicono.
Sì ma non del tutto: 75% in presenza, 25% no.
Cioè? E cioè dipende: tre quarti delle classi a scuola e un quarto a casa? Nah!
Un quarto dell’orario in telelezione e tre quarti alla vecchia maniera?
Le prime sempre a scuola, le altre a rotazione?
E con quale rotazione affinché i conti tornino?
E quando dopo un’ora con una classe in aula il professore ha una lezione in remoto o viceversa? Rimarrà a scuola, ma le linee sono efficienti?
E l’orario, come riorganizzare l’orario?
Chi lo fa? E come ricompensarlo per tutte le ore gettate via?
Soprattutto: durerà almeno il tempo per verificare se funziona?

is