Ottant’anni fa l’Italia conobbe le leggi razziali. A Cuorgné una serata molto partecipata per riflettere su cosa accadde allora e cosa sta succedendo oggi. Dall’associazione ACMOS, inoltre, un progetto per mappare l’odio e le discriminazioni sulla rete
«Nel 1938 l’Italia si è macchiata di una delle peggiori infamie di cui può macchiarsi uno Stato: le leggi razziali». È con queste parole che Marco Revelli, storico e sociologo, inaugura la serata organizzata dall’ANPI venerdì 14 dicembre a Cuorgné in occasione degli ottant’anni dall’emanazione delle leggi razziali italiane.
Ottant’anni che sembrano oggi più vicini di quanto non lo fossero nell’immediato dopoguerra, se si prende in considerazione quel sottile filo conduttore che unisce l’Italia fascita degli anni Trenta e Quaranta al presente: «Devo dire che quel principio etico di superiorità italiana continua a serpeggiare tra le pieghe della nostra civiltà. Abbiamo ricominciato ad assistere alle stragi, perché quello che succede nel Mediterraneo è una strage a cielo aperto» afferma Revelli, precisando: «Il ’38 fu un primo passo di attraversamento del confine dell’inumano. Oggi, la proclamazione dell’inumano è tornata ad essere terreno elettorale».
Il pensiero è subito rivolto al recente caso Lodi, dove la sindaca leghista Sara Casanova aveva escluso dalla mensa scolastica i bambini stranieri con il pretesto di dover recuperare e presentare certificazioni di non possesso di case, conti correnti e auto nel loro paese di origine; ma anche alla situazione a Ventimiglia, dove «la solidarietà è diventata reato».
Revelli cita questi e altri esempi, ma con lo sguardo tipico dello storico rivolto ai fatti che la storia ha impresso in quelle ignobili pagine del 1938. «Non fu, come ogni tanto si sente dire, una mascherata per compiacere l’alleato nazista, ma una misura effettiva. Furono 96 i professori universitari riconosciuti ebrei che dovettero dimettersi; oltre 300 i docenti epurati dall’università italiana e circa 2.500 bambini espulsi dalle scuole elementari».
Tra la mensa scolastica di Lodi e gli effetti delle Leggi Razziali sulle scuole italiane cambiano i modi, ma il principio di esclusione e di discriminazione rimane lo stesso e una delle possibili cause culturali del perché si stia tornando a produrre emarginazione istituzionale è a causa di quel «problema che gli italiani hanno con la memoria storica, che sono passati dall’Impero alla Repubblica senza fare i conti con il colonialismo», come chiarito da Farthun Mohamed, esperta in antropologia culturale e relatrice della serata.
Di razzismo istituzionale ha parlato anche Federica Vairo, esperta in politica sociale presso La Sapienza di Roma: «oggi occorre tenere in considerazione il fenomeno del razzismo di Stato, il razzismo istituzionale, dove Stati, governi e parlamenti promuovendo misure definite speciali, una parola, questa, molto pericolosa» e peraltro già presente all’interno del decreto sicurezza e immigrazione nella forma di “permessi di soggiorno speciali”. La creazione di identità e di linee di demarcazioni culturali è sovente anticipatrice di fenomeni di discriminazione: lo slogan “prima gli italiani”, la distinzione tra immigrati buoni e immigrati cattivi (o regolari e irregolari) o l’eliminazione di un grado di giudizio in appello solo per una determinata categoria di persone e non per tutti quanti (come nel caso del decreto Minniti) sono tutti segnali e atti anticipatori di «un meccanismo che non si sa dove può portare, ma delle cui conseguenze cominciamo a vederne gli effetti».
“Contro l’odio”: un progetto per mappare l’intolleranza e le discriminazioni
La serata di venerdì 14 è servita per ricordare a tutti quanti che le leggi razziali non sono state una parentesi conclusa della storia italiana e che nessun processo è irreversibile. Il miglioramento sociale e culturale è frutto di conquiste che vanno reiterate quotidianamente e che esigono una vigilanza democratica continua e incessante, pena il ritorno a forme di razzismo sempre più gravi e manifeste. C’è un elemento, tuttavia, che separa in maniera netta il 1938 al presente e da cui non si può prescindere, ovvero settan’anni di Costituzione Italiana. «Se oggi i bambini di Lodi sono tornati a scuola e il comune di Lodi è stato condannato per “condotta discriminatoria” è perché c’è una Costituzione che sta alle spalle della magistratura» ha dichiarato Revelli.
Settant’anni di Costituzione sono indubbiamente riusciti a produrre anticorpi sociali e democratici e lo dimostrano le tante associazioni, comitati, movimenti e lotte che operano quotidianamente per fronteggiare fenomeni di discriminazione e razzismo.
È in questa direzione che muove il progetto CONTRO L’ODIO, ideato dall’associazione ACMOS con il contributo di università e associazioni e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Il progetto è partito ufficialmente martedì 18 dicembre; nasce come strumento di raccolta dati su Twitter, a partire dai tweet che contengono messaggi di odio e che vengono maggiormente ricondivisi dagli utenti. I “cinguettii” vengono inseriti in un geoblog, mappati in base alla regione di provenienza e raggruppati a seconda della minoranza colpita: migranti, rom, omosessuali. La finalità del progetto è di contrastare questo fenomeno mettendo in evidenza sia i progetti e le realtà che in Italia promuovono una cultura della tolleranza sia la portata del fenomeno dell’intolleranza, regione per regione.
Mappare l’odio e le discrimazioni può certamente essere un primo passo verso l’acquisizione di una coscienza critica e resistente, la stessa che fece espellere dalla quinta elementare con l’accusa di “idee sediziose contro lo Stato” il presidente regionale dell’ANPI (allora solo un bambino di dieci anni) per aver osato dire alla sua maestra che non era vero che i suoi compagni di banco ebrei non erano venuti a scuola perché ammalati.
Andrea Bertolino