E’ doveroso iniziare con un sentito grazie a tutte le realtà promotrici degli eventi relativi al progetto sulla Giornata della Memoria, ospitati dallo ZAC! Movicentro: Associazione Rosse Torri, Zac!Movicentro, Casa delle Donne, Anpi, Libera, Acmos, Viviamo Ivrea, Fraternità Cisv di Albiano, Osservatorio Migranti, Associazione treno della Memoria, Uni3 Ivrea, Centro Documentazione Pace Ivrea, Circolo PRC Ivrea. Nonché alla Citta di Ivrea per il Patrocinio.
Entrambe le serate (18 gennaio e 1 febbraio) hanno visto una larga partecipazione da parte di un pubblico eterogeneo, grazie all’opera di diffusione di ogni ente promotore e dei media locali. La prima serata, con uscita a cappello, ha permesso di raccogliere il denaro sufficiente al noleggio del film che è stato proiettato il 1 febbraio (peccato venire a scoprire che Rai 5 lo aveva trasmesso qualche sera prima – ma è stato bello essercelo guadagnato e guardato insieme), e ciò non era affatto scontato. L’idea di auto-sostenere il progetto nasceva proprio dal voler mettere in risalto le potenzialità di cooperazione e la capacità di fare rete quando si tratta di temi importanti, e anche di dimostrare che Ivrea conserva ancora la sua anima decisamente antifascista.
E’ stato per me molto importante mettere un mio lavoro (il reading Reazione a Catena) a servizio di questa ricorrenza: spesso ci si trova a fare spettacoli a favore di cause dal valore sociale ed è importante farlo, ma in questo caso era qualcosa di più. Si poteva organizzare una colletta, però non avrebbe avuto lo stesso significato rispetto al trovarsi insieme, disposti a raccontare una storia e a farsela raccontare, per poterne poi vedere un’altra sullo schermo, sempre tutti insieme. Perché questa idea di condividere lo spazio col corpo (in presenza – non virtualmente) va riconquistata proprio come la memoria di ciò che si andava a raccontare. Dire mi piace sui social è troppo facile, non costa nulla, decidere di uscire di casa (magari mentre nevica come venerdì 1 febbraio) per andare a sedersi accanto a conoscenti e sconosciuti, in una sala, su una sedia, lasciando che le emozioni e i pensieri si manifestino, non è altrettanto facile, occorre scegliere e, oggi, scegliere di agire sembra essere diventata la sfida più grande. La prova è semplice da fare: se avessimo dovuto disporre sedie in base a quanti erano i “mi piace” online, avremmo sbagliato numero. Ne abbiamo comunque dovute disporre molte ed è andata bene, più della metà delle persone presenti agli eventi, infatti, era lì indipendentemente dalla rete. Evviva. Meglio dieci persone in carne e ossa che cento entità cliccanti.
E veniamo al film, A German life, che era poi il cuore del progetto: devo ammettere che la scelta di proiettare questo film mi preoccupava parecchio, come ideatrice degli eventi, perché non era la solita testimonianza, seppur raccontasse fatti inerenti il tema della ricorrenza. Quando ho saputo dell’esistenza di questo film ho pensato che andava visto, che bisognava sentire anche l’altra campana, per quanto non così direttamente coinvolta. Dare voce a chi stava dall’altra parte in un ruolo non cruciale ma con ampia visibilità, uno di quelli che avremmo potuto avere noi, il ruolo di un cittadino che, seppur non politicizzato, verrà chiamato dalla storia a condividere le responsabilità. Bruhilde Pomsel (segretaria di Joseph Goebbels, ministro della propaganda nazista) era perfetta: era al centro del potere senza avere lei stessa il potere, dunque ha potuto vedere e sentire ciò che faceva chi quel potere non solo lo gestiva, ma lo creava (“ … non faccia l’ingenuo, siamo a noi a decidere chi è ebreo e chi non lo è”: frase detta da Goebbel al regista Fritz Lang). Era la perfetta rappresentazione del successo di una politica manipolatoria e accecante.
Il suo essere figlia del tempo (quel tempo lì), poco impegnata, frivola, attenta solo a se stessa, l’ha portata a dover maturare un pensiero “ex post” per poter accettare di sé ciò che era e ciò che non era. Le contraddizioni del suo racconto, il non sentirsi colpevole, ma il riconoscersi superficiale, erano tutte lì ad indicare quanto sia piena di insidie la “verità a posteriori”. Ascoltarla ci ha fatto capire una volta di più quanto sia importante scegliere consapevolmente e vigilare affinché non si venga privati di questa possibilità. Certo, la Germania di allora era molto diversa dal mondo di oggi, ma quali che fossero allora i semi, li si è lasciati piantare e germogliare, non è dunque impensabile che altri semi vengano piantati e fatti germogliare ora, in altri modi, ma con gli stessi scopi.
Le immagini (magistrali) del suo volto centenario, quasi sempre in primo piano, testimoniavano la difficoltà dell’accettare il ricordo doloroso di una sconfitta morale incommensurabile. Le mani che si affannavano attorno alla collana o che stringevano il fazzoletto che asciugava la bocca, così come i lunghi silenzi, durante il racconto, erano commoventi e raccapriccianti al tempo stesso. Ogni inquadratura era la banalità del male. Azzeccati gli inserti video tra uno spezzone e l’altro di intervista a fare da contraltare al racconto. Da un lato il male nascosto nel nulla della quotidianità, dall’altro la potenza e la ferocia della realtà colpita da quel male. La vita quotidiana di una giovane donna, apparentemente innocua, che corre sullo stesso filo della morte di migliaia e migliaia di persone. La differenza la può fare solo la coscienza e la consapevolezza. Penso quindi sia stata una scelta azzeccata aver voluto questo film e i feedback ricevuti me lo hanno confermato. Ad oggi, testimoni diretti, da una parte e dall’altra, purtroppo ne restano pochissimi ed è molto rischioso che le loro voci si spengano, soprattutto in periodi come questo, in cui certi pensieri malefici riaffiorano. Un grazie particolare agli insegnanti che hanno spinto gli studenti ad esserci.
Lisa Gino