Intercultura promuove la pace attraverso la conoscenza reciproca dell’altro, senza pregiudizi o stereotipi. Questo messaggio viene promosso con l’invio delle ragazze e dei ragazzi in altri paesi e l’ospitalità di loro coetanei da tutto il mondo. Continuiamo la pubblicazione delle testimonianze nella rubrica “Ospitalità” a cura del Centro locale di Ivrea.
L’esperienza di Letizia ed Ettore, genitori ospitanti a Rapallo di Marisol dal Costarica
“Ma Ettore, ne sei sicuro?”
“No Letizia, non sono sicuro di nulla.”
Sì, certo … non abbiamo un letto ma solo un divano letto, la nonna di 95 anni nell’appartamento qui vicino e tutte le attenzioni che ciò comporta, i figli che vanno e vengono dall’estero, Natale, Capodanno e sì, non ultimo, siamo anziani anche noi due … due pensionati.
No, non sono certo di nulla … ma siamo una famiglia e lei, questo si che è una certezza, sarà femmina, una figlia femmina, farà parte della vita di questa famiglia.
Ed eccoci lì! Genova, binario n. 8, il treno proveniente da Roma che trasporta i “bimestrali”, accompagnati dai volontari, si ferma. Noi tutti del centro locale di Genova con striscione di benvenuto e bandiera del Costarica. Tutto è pronto!
Ecco scendere un valigione immenso, sospinto da uno scricciolino dai capelli neri e mossi, un musetto dai lineamenti delicati, uno sguardo curioso e al contempo meravigliato. Ecco è lei, Marisol, costaricense,15 anni. Si guarda attorno, forse in treno si era addormentata … appare stanca.
“Ciao”, “grazie”, “ciao”, “grazie”, “encantada”, “encantada” … Ho timore ad avvicinarmi, lo faccio con cautela per non “romperla”. Mia moglie, invece, si precipita verso di lei e l’abbraccia forte forte. Prendo coraggio e mi butto anch’io e le abbraccio tutte e due, forte forte.
I suoni, i rumori, il vociare, quell’odore di ferrovia, tutto diventa buono. Lo assaporo.
“Encantada, grazie, gracias”. Sinceramente, a questo punto del mio racconto devo dire che la penna fa fatica a scorrere, un vortice di sensazioni ed emozioni gira attorno al foglio bianco. Non sono uno scrittore, butto giù i pensieri di getto, è difficile riuscire a “passare” quel coacervo di sentimenti che mi attraversa. Mi faccio coraggio e vado avanti.
Lei è luminosa. È curiosa, vuole conoscere, io forse più di lei. Ora, io non conosco lo spagnolo. Si, esattamente… appartengo a quel genere di persone che pensa basti aggiungere una “s” alla fine di ogni parola per parlare, appunto, spagnolo. Eppure, come per magia, passeremo ore a parlare, a parlare di tutto e trovando il modo. Parleremo di Italia, di Costarica, degli americani, gli yankees, di cibo, amici, politica, storia, filosofia e d’amore.
Lei ha voglia di comunicare, io pure e ci riusciamo perfettamente.
I suoi 15 anni mi sorprendono: è profonda, matura, sensibile. Il suo punto di vista mi interessa e mi insegna uno sguardo nuovo sulle cose. Mi accorgo di quanto sono relative le mie certezze e convinzioni.
E poi la vita quotidiana, la scuola: “come è andata? come ti trovi? com’è la scuola italiana?”
“Scuola italiana molto bene a insegnare cosse, ma non insegna a pensar“. Intanto fai pensare me, c’è da riflettere su questa cosa…
Con serenità e fiducia si racconta: il suo orientamento sessuale. Mi sorprende la consapevolezza identitaria e mi rende orgoglioso la fiducia che ripone in me. Le chiedo qual è stato il percorso per arrivare a questa chiarezza, quali porte ha varcato, da quali finestre si è sporta. “Non ci sono finestre né porte, semplicemente perché non esistono muri o intonaci su cui montarle”.
A me piace cucinare, a casa la spesa la faccio io, cucinare per lei è una gioia e scopriamo insieme le cose che le piacciono: la pasta al pesto, certo, la carne cotta al sangue e poi il salame, il prosciutto crudo, i mirtilli. C’è, però, solo un problema… mangia tutto insieme. “Che buona la pasta al pesto!” e sopra salame e pure i mirtilli. Un filetto al sangue con le fragole!?! La pizza? “Maravillosa!” Su questo si è un po’ discusso ma il suo punto di vista non si è modificato granché: le cose buone rimangono buone tutte insieme.
La lentezza poi … “Pura Vida” è il motto, come “Akuna matata”… Scialla! nel nostro gergo. Lenta nel mangiare, lenta nel prepararsi, lenta… il suo punto di vista è che la frenesia dell’orologio è appunto la frenesia dell’orologio.
Ha il terrore dello scooter e inoltre, a suo parere, è “indeceble”. Mi spiega, e io qui faccio fatica a capire, che nel suo Paese le moto sono usate dalle “bande”. Data la mia difficoltà, mi aiuta con le foto del cellulare. E rafforza la sua contrarietà con il racconto di un incidente a cui aveva assistito da piccola, concludendo quindi con “esto no es bueno”. E io spiego come invece funziona qui, ma non insisto e soprattutto la accompagno a piedi. Sciallo.
C’è la nonna, la conosce e sarà amorevole con lei come fosse davvero sua nonna che ricambia con tutta la tenerezza della sua età.
Mia moglie è entusiasta, se la tiene vicina, la porta con sé, complice e confidente, ed è un modo condiviso di stare insieme.
Arrivano i nostri figli e lei coglie in ognuno di loro due tratti, temperamento e peculiarità; ce le riporta e ancora una volta ci sorprende e ci conquista.
È entrata nella nostra vita, fa parte del nostro mondo, le ansie i dubbi le insicurezze non solo si sono dissolte ma sembra che non ci siano mai state.
La scogliera di Zoagli, le viuzze di Camogli e Santa Margherita, le tre gobbe del promontorio di Portofino, le 5 Terre e le loro creuse: è lei che me le fa visitare, perché me le fa vedere con il suo sguardo ed è come se le scoprissi in quel momento.
La sua “lentezza” purtroppo non ha impedito che il tempo passasse velocemente, manca poco.
I suoi professori sono meravigliati e impressionati dalla sua maturità e preparazione, dalla compostezza educata e dalla gentilezza, apprezzano questa alunna e forse imparano che gli stereotipi non sono affidabili. I compagni la saluteranno abbracciandola. Solo una, la compagna di banco, rimarrà seduta, in lacrime. Si porterà via la bandiera italiana con tutte le loro firme.
Ultimo giorno di scuola: si torna a casa, orgogliosi e tristi come quando una figlia straordinaria dovrà andare lontano per costruire la sua vita.
E siamo di nuovo a Genova in stazione. I volontari e gli amici, le lacrime, i propositi, le promesse… e ancora lacrime.
È rimasta una foto, siamo seduti accanto, zitti, mi tiene il braccio, abbiamo ancora pochi minuti. E anche adesso, mentre scrivo, le emozioni sono le stesse.
Abbiamo le nostre telefonate e quando ci sentiamo si riprende il filo, capita di ridere, capita di non capirsi, di ricominciare, di annunciare le nostre reciproche novità.
Sa che l’aspettiamo… tornerà.