Grandissimo successo di raccolta firme in tutta Italia per presentare il referendum per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata. Ottima risposta anche ai banchetti organizzati dal Comitato di Ivrea e Canavese e dalle singole forze che lo compongono.
Il quesito referendario per l’abrogazione totale della legge 86 approvata definitivamente dalla Camera il 18 giugno scorso e stato depositato da un ampio e trasversale numero di soggetti, Cgil in testa, il 5 luglio scorso. Subito dopo è partita l’organizzazione della raccolta firme in tutta Italia. A meno di un mese della partenza della raccolta il numero minimo di 500 mila firme è stato ampiamento superato: tra sottoscrizioni online e firme ai banchetti ci si avvia verso le seicento mila firme. Straordinaria risposta anche ai banchetti di Ivrea e Canavese. E’ questo un buon auspicio e un importante segnale al governo da parte della popolazione.
La raccolta però non si ferma e andrà avanti fino al 15 settembre per mettere in sicurezza la proposta di referendum e soprattutto per dare una prima risposta forte di contrarietà ad una legge che punta a dividere il paese e ampliare le ingiustizie. Anche il Comitato unitario canavesano, con tutte le forze sindacali, politiche e associazioni che si oppongono alla legge “spacca Italia”, continuerà fino a metà settembre con raccolta firme e iniziative di approfondimento.
La materia dell’autonomia regionale differenziata non è semplice e affrontata superficialmente sembra penalizzare solo le regioni del Sud, ma cittadine e cittadini delle regioni del Nord, se si escludono alcuni territori a più forte presenza leghista (la legge 86 è il coronamento del loro progetto di federalismo), hanno capito che l’AD invece riguarda proprio tutti, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Una legge che differenzia ricchi e poveri non solo geograficamente. Tantissime persone vengono poi a firmare ai banchetti perché rifiutano un progetto per rompere il patto di solidarietà fra le Regioni della nostra Repubblica, perché non vogliono 20 territori che potranno liberamente legiferare su sanità (ancor più che adesso), scuola, ambiente, lavoro, beni culturali, energia, previdenza, trasporto, sport, protezione civile, per citare solo alcune delle 23 materie sulle quali le Regioni possono chiedere l’autonomia. Un elenco da far accapponare la pelle a chi crede nei valori di giustizia, uguaglianza e solidarietà dettati dalla nostra Costituzione Repubblicana.
Come è possibile – si chiederà qualcuno – operare un simile radicale cambiamento con una legge ordinaria senza modificare la Costituzione?
Semplice, perché la Costituzione l’aveva già modificata nel 2001 il governo di centro-sinistra guidato da Antonio Amato, con ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini (DS). Si tratta della riforma del Titolo V della Costituzione effettuata con la legge costituzionale n. 3/2001, con quale sì è aperta la porta ad uno smisurato potere alle Regioni. Senza quella modifica del Titolo V, oggi non ci sarebbe la legge 86. Al tempo, il governo di centro-sinistra pensava di erodere voti leghisti con questa riforma, fu un grave errore di valutazione politica. Con il senno di poi, l’errore si è fatto evidenza (anche se per qualcuno non fu errore, vedi il presidente dell’Emilia-Romagna che l’AD con i colleghi leghisti di Lombardia e Veneto la voleva). In un’intervista del 2020, Gianni Cuperlo, esponente di rilievo del PD, francamente riconobbe: “Nel 2001 si riformò il Titolo V pensando di togliere voti alla Lega. Fu un errore e gli italiani lo hanno pagato caro.” La riforma fu sottoposta a referendum. Il 7 ottobre 2001 fummo chiamati a pronunciarci sulla modifica costituzionale, scontato il risultato: vinse il sì con il 64,1% dei voti anche se su una percentuale di votanti molto bassa del 34,05. Non poteva che finire così, tutti partiti della maggioranza parlamentare di allora (dal DS ai Verdi dall’Udeur al Partito Popolare) fecero ovviamente campagna per il sì, e nella minoranza è facile immaginare cosa votarono i leghisti.
L’AD come un boomerang?
Ma questa volta è diverso. La legge Calderoli n. 86/2024 sbatte in faccia a tutte e tutti un piano horribilis che prefigura caos e ingiustizia insieme. Si sono mobilitati tutti i partiti della minoranza parlamentare (anche se tardivamente, va detto), mentre forze politiche extraparlamentari e movimenti sono impegnati ormai da sei anni nei “Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata per l’Unità della Repubblica e l’Uguaglianza dei diritti”. Ai partiti si aggiungono associazioni nazionali, in primis l’ANPI che ha fra i suoi valori la difesa dei principi costituzionali, ma anche Legambiente, Wwf, e soprattutto vi è la mobilitazione del più grande sindacato nazionale – la Cgil – che si è significativamente assunto la responsabilità di unire il dissenso contro l’Autonomia differenziata.
Con questo largo fronte di opposizione ad una delle leggi più sbagliate e ingiuste uscite dal Parlamento, con la bocciatura della Ue che nel “Country report 2024” afferma che “La devoluzione di ulteriori competenze alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”, ma soprattutto con la risposta forte che stanno dando cittadine e cittadini che firmano online e ai banchetti, la storia potrebbe cambiare, il boomerang potrebbe tornare dal Sud, dal Nord e dal Centro Italia a chi l’ha lanciato contro l’unità del paese.
Cadigia Perini