La Corte d’appello di Torino si è riservata la decisione sulla conferma, o meno, della sorveglianza speciale contro Maria Edgarda Marcucci.
Quale è la differenza tra una opinione contraria e una pericolosa? E per chi e per cosa questa opinione può essere una minaccia? Maria Edgarda Marcucci, per tutti Eddi, è una studentessa romana di ventinove anni che tra il 2017 e il 2018 ha combattuto in Siria contro l’Isis a fianco dei curdi nelle file delle YPJ (acronimo dell’Unità di Protezione Femminile, una organizzazione militare fondata nel 2013 come Brigata Femminile della milizia di di Unità di Protezione Popolare, YPG. Per questa scelta Eddi è stata considerata dal Tribunale di Torino “socialmente pericolosa” con un decreto emesso lo scorso 17 marzo, che applica alla giovane attivista la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (figlia legittima del confino fascista) per i futuri due anni. Divieto di allontanarsi da casa dalle 21 alle 7, divieto di accedere agli esercizi pubblici tra le 18 e le 21, divieto di partecipare alle riunioni pubbliche. Ritirato il passaporto. Ritirata la patente. Obbligo di avere sempre con sé il libretto rosso, ovvero la Carta Precettiva dove viene annotato ogni spostamento. e di “vivere onestamente nel rispetto delle le leggi“. Una specie di lockdown forzato.
YPJ e YPG sono l’ala armata di una coalizione politica curda che ha preso di fatto il controllo di una buona parte della regione settentrionale della Siria a maggioranza curda, il Rojava.
YPJ nasce per combattere i gruppi jihadisti che minacciavano i territori occupati dalla popolazione curda. La sua visione di libertà si basa sulla parità di genere, sull’anticapitalismo e sull’egualitarismo e tutto si inserisce nel progetto politico denominato “confederalismo democratico” ideato dal fondatore del Pkk (partito dei lavoratori del Kurdistan) Abdullah Öcalan, tuttora imprigionato a İmralı, isola-prigione turca nel Mar di Marmara, dove è l’unico detenuto. Attualmente il Pkk è considerato organizzazione terroristica, anche dagli Stati Uniti, dall’Unione europea, dai paesi NATO e dall’Iran. Il processo che ha spinto queste donne ad armarsi comprende un’infinità di sfumature: a livello personale c’è chi ha subito violenza in età infantile, chi ha subito matrimoni combinati, chi ha subito il patriarcato della famiglia o chi ha subito l’ingerenza dello stato sulla minoranza curda. Non ultima, la volontà di vendicare le persone care cadute in battaglia. Donne e uomini imparano a “disimparare il patriarcato” e a trasformare il loro vissuto in forme diverse di resistenza nella società praticando ideali di eguaglianza. Questa educazione volta ad aiutare le donne a reclamare il loro posto è uno dei punti cardine del movimento di resistenza. Per le nuove leve il momento cruciale è rappresentato indubbiamente dal massacro di Kobane perpetrato dall’Isis nel 2014; evento che ha anche proiettato il movimento sull’arena dei media internazionali e aperto nuove vie per la propaganda e le richieste di aiuti.
Come spiegato nel decreto, ciò che si contesta a Eddi non sono tanto singoli fatti, ma “un percorso di vita costantemente orientato in tal senso, incline a violare senza remore i precetti dell’Autorità“.
Durante l’intero periodo in cui si è svolto il procedimento giudiziario (cominciato nel gennaio del 2019) a gravare sulla decisione finale del tribunale (che ha assolto gli altri quattro combattenti che erano stati con lei in Siria) è infatti stata la sua partecipazione a due presidi pacifici e a una manifestazione del 1° maggio, che dimostrerebbero quindi la sua incapacità di modificare la propria condotta. Principi e valori, i suoi, che mettendo in discussione l’ordinamento esistente esprimono un atteggiamento “costantemente orientato in tal senso” e che sono i valori che l’hanno portata in Siria a combattere per la libertà del popolo curdo o a partecipare al presidio davanti alla Camera di Commercio di Torino, nel novembre scorso, contro la fornitura d’armamenti militari italiani alla Turchia.
Nell’immaginario collettivo Eddi è semplicemente una partigiana. O no?
Difficile non comprendere e condividere una scelta come la sua per chiunque desideri fortemente un mondo diverso, meno individualista, dove i valori fondamentali siano l’impegno e la responsabilità nei confronti dell’altro, della propria comunità. In un’intervista Eddi racconta “già a scuola ero molto sensibile al tema dell’antifascismo e delle nocività ambientali, questioni che avevano attraversato il mio vissuto (…) una serie di tappe della mia vita mi hanno portata a scegliere di percorrere soluzioni collettive. Perché è l’opzione in cui credo di più. Perché, quando ci sono situazioni e problemi che viviamo in tantissime persone, se mettiamo insieme le forze possiamo anche trovare una soluzione”.
Simonetta Valenti