Silent Land, una piscina che non si guasta mai

Il film della settimana scorsa al Cineclub Ivrea

La vacanza in Sardegna, il mare come un ritaglio di paradiso, una coppia di giovani polacchi, una casa solitaria prenotata per un periodo di vacanze. Siamo nella scenografia del relax e del benessere che, inaspettatamente, cambia colore e modifica sostanzialmente il corso degli eventi. La regista polacca Aga Woszczynska, alla sua opera prima, scandisce i tempi cinematografici adeguandoli al passo lento della realtà. Lo sguardo indugia su alcune immagini, di taglio ricercato, dove si vedono solo parti di corpo ai margini dell’inquadratura, stralci di figure come spersonalizzate.
Assenti e distaccati, infatti, sono i due protagonisti della vicenda, marito e moglie, che inaugurano, almeno negli auspici, una vacanza libera da ogni interferenza dove sesso, cucina, sport sembrano far parte di una collaudata e solitaria routine quotidiana. Ma qualcosa non va per il verso giusto fin dall’inizio.
La piscina della villetta, imprescindibile optional preteso soprattutto dalla signora polacca, attraverso il contratto di locazione, si rivela nei fatti una vasca da riparare e desolatamente vuota. L’inconveniente, l’imprevisto, l’eterogenesi dei fini, daranno luogo a un crescendo di malumori, dove aggiustare la piscina e immetterne l’acqua, produrranno un epilogo fatale.
Il film, come detto nella scheda di accompagnamento, si presta a svariate letture soprattutto di carattere simbolico, tra le quali spicca la critica delle abitudini borghesi sempre dirette verso i piaceri del lusso e della superficialità. Pur nell’idea del relativo, a mio parere, di lusso nel film se ne vede ben poco, a partire dalla villetta con la piscina secca e guasta, con le tettoie esterne che sanno di provvisorio, per finire al contesto generale, sempre più povero di turisti anche per la probabile presenza di una base militare nella zona. Emerge invece, più palpabile nell’aria, il senso di diffidenza, di fastidio, di superficialità e anche di velato razzismo nel confronti di atteggiamenti culturalmente distanti. La faciloneria accomodante del padrone di casa, che tenta di risolvere lo screzio con la signora polacca invitandola prima a consolarsi con i bagni di mare poi promettendole uno sconto sul contratto, infine invitandola a cena in trattoria, non produce altro effetto se non quello di esasperare l’intransigenza della signora stessa.
Messo alle strette, il padrone di casa, pur di non perdere l’affitto, impiega l’extracomunitario di turno, per sistemare la vasca, il quale incappa in un incidente fatale, probabilmente evitabile se solo si fosse ricorso a un maggior senso di umanità. E qui gravita il fulcro della storia; emerge la chiave legata al principio di rimozione che caratterizza i due coniugi ma anche i personaggi di contorno, dove l’evento tragico viene minimizzato e spogliato di gravità, inondato di giustificativi frettolosi, rimosso appunto per non turbare l’equilibrio e l’atmosfera della vacanza che, per generale convenienza, deve svolgersi e concludersi senza inciampi.
In fondo si è trattato solo di un incidente, di un caso fortuito che non deve sconvolgere gli animi né dei vacanzieri né tanto meno di alcuni addetti alle indagini. E invece… Come ogni processo di lavaggio della coscienza attraverso metodi a buon mercato, il vissuto riaffiora con le sue ombre, sviluppa nuove tensioni, instilla sospetti e desta nuovi irrisolti tra i coniugi, ne incrina l’apparente armonia, ne destabilizza le vacanze che, comunque, non si vogliono interrompere se non alla prefissata scadenza.
E così si procede, tra immersioni subacquee e tuffi in mare che sembrano pratiche autolesive per dimenticare il peggio. Ma la coscienza del vero non si addomestica facilmente e produce il suo carico di tormenti. A questi stati d’ansia sembra uniformarsi anche il paesaggio, una stretta di nubi, l’arrivo del temporale, il vento che scuote gli alberi di notte, la casa e la piscina con il loro fantasma e la voce del rimorso con cui fare i conti.
Gli attori polacchi, Dobromir Dymecki e Agnieszka Zulewska, con la loro fisicità seduttiva, sono bravi a trasmettere quel senso di estraneità e alienazione dal tutto, riflesso di quella condizione a mezzo tra meschinità, cinismo e solitudine a cui ci riporta una tendenza ricorrente dell’oggi, quella dove la vita si pretende a tutto tondo senza rischi e imprevisti, come una piscina che non si guasta mai, come una vacanza che deve essere sempre perfetta a dispetto di ogni possibile evento contrario.

Pierangelo Scala