Coronavirus e 8 marzo
La strada che corre da via Miniere al Bennet di Pavone lambisce il patrimonio dell’Unesco costituito dalle celebri architetture olivettiane. Un’estensione di verde fronteggia i due palazzi uffici, oggi sede di nuove realtà industriali. E’ una discreta passeggiata da compiere in solitaria, soprattutto quando si imbocca la pedonale che, dopo Banchette, conduce alla zona dei supermercati. Di lì lo sguardo si allunga sulla Bella Dormiente, che solletica il cielo azzurro con la punta rocciosa dei suoi piedi. Si ha la sensazione di respirare la compagnia della natura.
Quando entro nel regno dei carrelli, in questo tempo coronato da ansie epidemiche, noto una signora con tanto di mascherina azzurra a protezione sul viso, segno tangibile che la paura del corona virus fa il suo lavoro anche tra gli eporediesi. E’ la prima mascherina che incontro in diretta dopo le tante viste circolare, in tv, nelle varie aree del mondo, quasi un segno identitario di una nuova comunità internazionale che si sta formando. A vederla così, dal vivo, la mascherina desta una comprensibile inquietudine. Le notizie sull’evoluzione del virus peggiorano di giorno in giorno alimentando un serpeggiante scoramento.
In uno scomparto del Bennet mazzetti di mimosa, ben confezionati in carta lucida e trasparente, mi ricordano che l’8 marzo è la festa delle donne, tutte le donne senza le quali, noi uomini saremmo ben poca cosa. Ma le mimose restano per lo più invendute come relegate in secondo piano. C’è una certa rarefazione delle persone che, ligie alle nuove disposizioni, sembrano attenersi alle distanze di sicurezza prescritte, ma forse è solo una mia impressione. Quando vedo anche un ragazzo circolare con la mascherina sul viso allora quella palla esaltata dal microscopio, che è il corona virus con i suoi tentacoli simili alle antenne di una lumaca, mi sembra che rotoli dappertutto. Tutto e tutti diventano sospetti, veicoli possibili di un minaccioso contagio.
La ragione si dibatte nelle contraddizioni espresse più volte dai media, incerti se dare corda al panico oppure lavarsene le mani con strafottenza e sicumera come in tv sbraita, da giorni, il parlamentare che non stima le capre.
A proposito di lavarsi le mani, il corona virus ci insegna come farlo adeguatamente intrecciando le dita e strofinandole ben bene per quaranta secondi. Se uno non ce la fa a calcolare correttamente la durata dell’abluzione può associare il gesto a un motivetto da cantare a piacere, di pari durata. Anche questo suggerimento è stato dato in tv. La canzone, che ho in mente di usare è quella di Renato Zero: “Si sta facendo notte” opportunamente tagliata di almeno tre minuti.
Come si sa il virus sta cambiando le nostre abitudini, così il lavoro, la dove si può, viene svolto a casa. Questa pratica, seguendo l’irrefrenabile impulso con cui gli italiani vogliono imparare l’inglese sostituendolo all’italiano, e quindi senza studiarlo, viene chiamata: “Smart working”. Analogamente, con le scuole chiuse, si stanno tentando esperimenti di lezione in “streaming” che già sollevano obiezioni e polemiche. Per contro, alla domanda se non si riterrebbe opportuno ricuperare le lezioni, magari prolungando l’anno scolastico, le risposte in arrivo assomigliano molto a un “buuu” collettivo, in questo dimostrando quanto poco incida l’insegnamento scolastico nella costruzione di una coscienza responsabile.
Al ritorno dal Bennet mi sono sentito infettato dagli abiti ai capelli così, a casa, ho lavato le mani stonando Renato Zero poi, per rafforzare l’ansia, ho deterso il lavandino perché mi sembrava un ricettacolo di germi, poi ho preso il micio in braccio e quest’ultimo, forse per scherno, ha dato in un sonoro starnuto con relativa dispersione di “droplet”. Per chi ancora fosse interessato alla bellezza della nostra lingua, il termine significa “gocciolina”. Pur consapevole che il virus ha fatto il salto di specie, ma non certo dal mio gatto al mio naso, per eccesso di zelo, ho fatto la doccia e poi, preso da incontrollabile parossismo, ho visualizzato la scena in cui sterilizzavo gli asciugamani in cortile bruciandoli in un piccolo falò. Alla fine mi sono calmato e ho ricuperato, almeno in parte, quel sentimento di corretto rapporto con la realtà che si chiama “via di mezzo”. Né panico né sottovalutazione degli eventi, dunque, ma salomonica pratica di ciò che insegnavano tanto il Budda quanto Confucio.
In seguito, accesa la tv, ho capito di che tipo di cose siamo capaci noi presunti essere umani. Sullo schermo una donna rispondeva alle domande di una giornalista, i capelli rossi, più lunghi da un lato, come una benda per coprire l’orbita dell’occhio destro. La donna si chiama Gloria e faceva le modella. Una sera, il fidanzato, mentre lei dormiva, le ha sparato una fucilata sfondandole il cranio, accecandole l’occhio destro e procurandole la sordità completa dall’orecchio destro.
Adesso Gloria è lì seduta su una carrozzella dopo due anni di riabilitazione e altrettanti da fare nella speranza di tornare almeno a camminare. L’uomo che l’ha massacrata si è fatto quattro anni di carcere e ora circola libero mentre lei vive nella paura che lui ritorni per “finire il lavoro”.
Ciononostante, Gloria si ritiene una miracolata perché è ancora viva e le sue ferite sono il segno del suo dolore e anche della sua nuova forza attraverso la quale si impegna perché altre donne non facciano la sua fine.
Difficile che un uomo abbia questo stesso tipo di forza e di coraggio che Gloria dimostra. Solo le donne ce l’hanno e l’8 marzo è l’occasione per ricordare e omaggiare questa loro straordinaria grandezza.
Forse il corona virus è la manifestazione della natura che si ribella alle violenze e agli attacchi che le infliggiamo, forse è il sistema immunitario della natura che reagisce alle nostre aggressioni. Forse è il fatto che non siamo in armonia con essa. Forse siamo di fronte alla presenza dell’ignoto che riafferma il suo diritto di esistere e di venire considerato, forse siamo davanti allo specchio dei nostri comportamenti sbagliati per non dire mostruosi. Se non impariamo qualche lezione dal virus o dalle donne come Gloria allora la notte sarà lunga e profonda.
Pierangelo Scala