Chiudere subito lo stabilimento degli F-35 e tutti gli impianti delle produzioni militari. Lo chiedono Sbilanciamoci!, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo
Il DPCM del governo entrato in vigore il 23 marzo esclude dal blocco delle attività produttive le fabbriche che realizzano sistemi d’arma e tra questi lo stabilimento di Cameri, dove vengono assemblati i cacciabombardieri F-35. Il settore industriale ”aerospazio e della difesa” è stato infatti incluso tra le categorie delle attività strategiche e dei servizi essenziali.
La Campagna Sbilanciamoci!, la Rete della Pace e la Rete Italiana per il Disarmo chiedono l’immediato blocco in tutte le fabbriche che producono sistemi d’arma.
È incomprensibile come sia considerato “strategico” e necessario continuare a far montare un’ala ad un cacciabombardiere o un cingolo ad un carro armato, con il rischio di far contagiare i lavoratori addetti a queste attività. Riteniamo inaccettabile chiedere ai lavoratori un sacrificio così alto per una produzione che, oggi, non ha nulla di strategico ed impellente e costituisce solamente un favore all’industria bellica e al business del commercio di armamenti.
Non è in questione il funzionamento operativo del settore della Difesa nazionale in questo momento così delicato, funzionamento che deve essere sempre garantito nei limiti e nelle forme previste dalla nostra Costituzione e del nostro ordinamento.
Il tema è perché si debbano tenere aperte fabbriche – in cui i lavoratori rischiano ogni giorno il contagio – che producono armi di cui oggi non abbiamo nessuna necessità, o che vengono vendute ad altri Paesi o – come nel caso degli F35 – che fanno parte di un Programma a lungo termine e che potrebbe senza problemi prendersi una pausa di qualche settimana (anche se va ricordato come le nostre organizzazioni da anni ne chiedano la chiusura a causa degli enormi costi, dei problemi tecnici e ritardi e dell’inutilità rispetto ad altri investimenti).
Per questo motivo chiediamo al Governo di rivedere subito l’elenco dei settori produttivi esclusi dal blocco, fermando il lavoro in tutte le fabbriche che producono sistemi d’arma, con la sola eccezione di quegli stabilimenti in grado di riconvertire la produzione di macchinari e forniture per rispondere ai bisogni del servizio del sistema sanitario.
L’industria bellica non è un settore essenziale e strategico: questa può essere l’occasione per un ripensamento e una riconversione necessaria (in primo luogo verso produzioni sanitarie).